Foto: Don Alberto Ravagnani / YouTube

Il giovane don Alberto Ravagnani e la vecchia visione dell’omosessualità

Cambiano i tempi e cambia la comunicazione usata dalla Chiesa, che si avvale sempre più dei social per evangelizzare e partecipare al dibattito pubblico. A distanza di diversi anni dall’approdo su Twitter del Papa, i cattolici sono sempre smart e al passo coi tempi, tra chi pubblica video su TikTok e chi invece preferisce YouTube. A quest’ultima categoria appartiene don Alberto Ravagnani, che vanta sul proprio canale più di 80mila iscritti, una popolarità immensa a cui ha dato il proprio contributo anche Fedez alcune settimane fa, con un botta e risposta critico ma costruttivo sulla Chiesa.

Si tratta di un prete giovane, con un linguaggio fresco e una comunicazione al passo coi tempi. Peccato che questa ventata d’innovazione portata dal giovane prete porti dietro con sé la solita visione dell’omosessualità come qualcosa di non preferibile. È quanto emerge da un podcast dal titolo “La carta canta” organizzato da un gruppo di studenti con l’obiettivo di far discutere di alcuni argomenti ragazzi credenti e atei, nel quale la giovane webstar era l’ospite speciale in una puntata dello scorso aprile, segnalataci da un nostro lettore.

Don Alberto Ravagnani inizia a parlare di omosessualità affermando, come già fatto da tanti esponenti della Chiesa Cattolica Romana, che non è peccato essere gay ma lo è compie un atto omosessuale. Secondo 1’uomo di fede, il tema viene usato per attaccare la Chiesa (anche se a noi sembra che sia accaduto sempre il contrario) e, in più, sostiene che prima di essa era la medicina a definire l’omosessualità come una patologia. Don Alberto però non sottolinea che la medicina è andata avanti di gran lunga, mentre la Chiesa ha fatto dei piccoli e timidi passi e che, ancora oggi, si oppone al riconoscimento dei diritti LGBT+, come dimostra la posizione della CEI sul ddl Zan (successiva alla registrazione del podcast).

Lo stesso Ravagnani afferma, poco dopo, che l’omosessualità sia una ferita per chi scopre di essere attratto dalle persone dello stesso genere: «Una volta che assumiamo che esistono delle persone così e assumiamo in verità la loro condizione, facendoci carico anche della ferita che comporta scoprirsi omosessuale… Perché forse questa cosa non è molto detta, ma non è pacifico essere omosessuali, è un travaglio quello di prenderne coscienza».

A questo punto gli altri relatori gli fanno notare che forse la sofferenza è dettata da una questione culturale di eredità cattolica e non perché sia un travaglio di per sé avere un certo orientamento sessuale. Insomma, si può essere omosessuali e felici, o almeno sereni, ciò dipende principalmente da come ciò viene visto da chi ci circonda. Ma a questa obiezione, il don replica che gli sembra ci sia una campagna a favore e di normalizzazione dell’omosessualità, intesa ovviamente in senso negativo. «Oggi un ragazzino, alle medie o alle superiori, nel momento in cui sta costruendo la propria identità, e quindi anche quella sessuale, si ritrova a doversi fare questa domanda – afferma – che gli è imposta: “Ma io sono omosessuale o sono eterosessuale?”». Era dunque meglio quando, qualche decennio fa, ci si scopriva di essere omosessuali e, senza educazione sul tema e modelli di riferimento, si pensava di essere sbagliati, malati, anormali?

Per don Alberto Ravagnani, che prosegue nel suo intervento, l’omosessualità come l’eterosessualità non sono delle identità: «Noi non siamo quello che compiamo. Avere una tendenza omosessuale non è la stessa cosa che essere omosessuale». Non è chiaro se si tratti di bi-erasure o altro, ma ben presto si passa al Pride e il prete afferma di non vedere oggi la necessità di tali manifestazioni: «Da una parte si vuole la normalizzazione e si vuole essere riconosciuti in tutto e per tutto i nostri diritti, come se l’omosessualità non fosse una cosa strana (facendo con le mani in segno delle virgolette, ndr) eppure si dice “guarda che noi siamo diversi e vi sbattiamo con orgoglio la nostra diversità”».

Sul finale arriva l’immancabile discorso sulla “normalità”. Risponendo a uno degli altri ragazzi che auspicava che un giorno tutte le persone in Italia penseranno che essere omosessuali sia normale, il don afferma: «Io non so se essere omosessuali sia una cosa normale. Cosa vuol dire normale? Ho capito cosa intendi però vorrei problematizzare questo dato. È normale nella misura in cui può succedere, posso rinvenire dentro di me questa situazione oppure posso trovare una persona che abbia questa tendenza. Normale nel senso che è nell’ordine delle cose. Dal punto di vista biologico non è normale, che il mio corpo sia attratto dal corpo… O meglio, questo può capitare ma mi rendo conto che c’è qualcosa che non funziona, cioè non è come potrebbe essere». Anche su questo punto, fortunatamente, gli altri ragazzi fanno presente che in natura l’omosessualità non sia prerogativa degli esseri umani.

Vecchie visioni, già superate dalla scienza, ma dette in modo giovane: avanguardia pura!