“Un voto val bene una messa”: breve storia dell’omofobia a sinistra

La discussione su proposte di legge che prevedessero diritti per le persone LGBT+, troppo a lungo rimaste nel cassetto, è sempre stata accompagnata (senza eccezione per il ddl Zan) da un dibattito surreale che ha consegnato alle cronache un susseguirsi di dichiarazioni d’ignoranza delle quali avremmo molto volentieri fatto a meno. In altre circostanze, non c’è nemmeno stata di mezzo una discussione parlamentare, ma semplicemente la necessità di certi politici di rivendicare di essere parte del mondo dei “normali”, a debita distanza da quello di “deviati, diversi, invertiti”. Solitamente, le plateali esternazioni omotransfobiche fuoriescono dalla bocca di qualche fascistoide privo della terza media oppure sono leggibili in qualche post della galassia conservatrice cattolica. Eppure, anche a sinistra non sono mancate certe imbarazzanti prese di posizione: talune affondano le radici in un tempo nel quale quell’area politica era ben poco inclusiva, altre in tempi più recenti, offrendo allo stesso modo la desolante dimostrazione della costante necessità di strizzare l’occhio al tentacolare elettorato cattolico.

Il Partito Comunista Italiano, pur principale espressione delle classi sociali più deboli ed emarginate, durante la gran parte del Novecento fu assai ostile agli omosessuali. Chissà se Pier Paolo Pasolini sarebbe stato comunque espulso se lo avessero beccato a baciarsi e toccarsi con due minorenni di sesso femminile? Per non parlare dell’abbandono che subì dai suoi compagni di partito il partigiano comunista Aldo Braibanti, processato per volontà della famiglia del suo fidanzato e condannato a quattro anni di reclusione. Leggendo l’inchiesta di Giampaolo Pansa “Ottobre, addio. Viaggio fra i comunisti” o – ancor più – “Comunisti e diversi. Il Pci e la questione omosessuale” di Fabio Giovannini, si può comprendere come i gay fossero considerati «compagni che sbagliano», prendendo in prestito una parte del titolo che Enrico Oriali diede al suo saggio su omosessualità e comunismo.

Non furono da meno i socialisti. Fu proprio sotto la Presidenza Pertini che le associazioni gay chiesero per la prima volta nella loro storia un incontro a un Presidente delle Repubblica, il quale li snobbò: sarà il suo successore Cossiga a celebrare questa prima volta al Quirinale. Essenzialmente, però, fu la ventata di mascolinità tossica portata dai nani e dalle ballerine craxiane a impedire l’emergere di istanze progressiste che inglobassero i diritti LGBT+. Nella Prima Repubblica fu solo il Partito Radicale ad accogliere le rivendicazioni rainbow, accettando il F.U.O.R.I. (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) al suo interno. Non a caso, il più noto leader radicale, Marco Pannella, venne apostrofato dall’ex ministro socialdemocratico Luigi Preti «fiero difensore dei pederasti».

Il resto è storia recente: dal sindaco Francesco Rutelli che ritira il patrocinio del Comune di Roma al World Gay Pride del 2000, ai parlamentari Udeur (il fu partitino di Clemente Mastella) che – sentendosi pubblici censori dei costumi italici – rimproverarono il servizio pubblico per aver trasmesso su Rai2 la «felice vita di coppia di due donne omosessuali», correva l’anno 2007. Sono esistiti alcuni personaggetti annoverabili fra le presenze estemporanee del centro-sinistra, in pole position Paola Binetti che fu in grado di dichiarare che «fino agli anni ottanta nei principali testi scientifici mondiali l’omosessualità era classificata come patologia, poi la lobby degli omosessuali è riuscita a farla cancellare». Mentre ben radicato nel centro-sinistra è stato Massimo D’Alema per cui «Il matrimonio tra uomo e donna è il fondamento della famiglia, per la Costituzione (dimostrando di non conoscerla). E per la maggioranza degli italiani è pure un sacramento (e sti cazzi?). Quello tra omosessuali perciò offenderebbe il sentimento religioso di tanta gente». Allo stesso modo è stata presenza fissa nella coalizione anche Rosy Bindi per la quale «è meglio che un bambino cresca in Africa piuttosto che con due uomini o due donne». Sulla presenza nelle liste elettorali di persone LGBT+, c’è l’acuta riflessione del comunista Marco Rizzo «Luxuria capolista in Sicilia, fa folklore» e la rassicurazione dell’ex deputato parente di Antonio Di Pietro, tal Gabriele Cimadoro, «per fortuna noi eterosessuali siamo la maggioranza, loro una minoranza, altrimenti…». Ma l’assurdo avvenne nel 2008, nel giorno della caduta del secondo governo Prodi, quando un senatore Udeur (aridaje) dichiarò che, contro il volere del proprio partito, avrebbe votato la fiducia all’esecutivo: il suo collega Barbato si scagliò contro di lui con un oxfordiano climax ascendente «Pezzo di merda, traditore, cornuto, frocio».

Per chi non fosse ancora pago, Filippo Maria Battaglia ha realizzato un’ampia raccolta nel suo Ho molti amici gay. Che poi, se non li aveste questi amici gay, chissà che cosa direste!