Ha fatto scalpore la notizia della scorsa settimana circa la direttiva dell’Università di Shangai in cui veniva chiesto di schedare gli studenti LGBT+, fornendo informazioni sul loro stato di salute mentale. Un evento che riporta alle pagine più buie della storia e che non è altro che un tassello di un fenomeno più grande, promosso dal governo cinese, che vuole cancellare la rappresentazione delle persone omosessuali, bisessuali e transgender dai media, in modo che questo abbia un impatto sulla società.
L’obiettivo sarebbe quello di promuovere uno stile di vita sano, in linea con la cultura tradizionale cinese, che viene addirittura messo in contrapposizione con l’effeminatezza di alcune celebrità. Giovedì scorso, infatti, il regolatore ha affermato che le emittenti dovrebbero «porre fine agli uomini gay e ad altre estetiche innaturali» ed evitare l’apparizione di personalità che «violano l’ordine pubblico» o «fanno perdere la morale». Nell’annuncio è stato utilizzato il termine bifobico «niang bao».
L’azione repressiva cinese sta coinvolgendo, inevitabilmente, anche i videogame e i social network. Lo scorso luglio, infatti, la piattaforma WeChat ha sospeso gli account ufficiali di almeno dodici gruppi LGBT+ studenteschi, includendo anche quelli di prestigiosi atenei, senza fornire spiegazioni. L’account ufficiale blogger cinese Feng Xiaoyi è stato rimosso dal social Douyin, dopo che decine di utenti si sono lamentati del suo aspetto androgino e della sua effeminatezza in un video diventato virale. L’app di messaggistica QQ, infine, ha vietato i termini «gay», «lesbica» e «LGBTQ»; digitando tali parole nei messaggi, infatti, appare lo stesso avviso riservato ai contenuti pornografici: «Usa internet in modo civile. Dii ‘no’ alle informazioni dannose».
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