Il linguaggio inclusivo, la Scevà ed altri strumenti per una lingua non binaria

Il funambolismo grammaticale delle persone non binary e transgender

Molte persone enby e transgender devono ogni giorno confrontarsi col problema del linguaggio.
Oltre a dover affrontare continuamente situazioni di deadnaming e misgendering, devono scegliere loro per prime che genere usare per parlare di se stesse, e spesso la decisione è difficile, perché in molti contesti il loro genere non è o non può essere dichiarato, o non verrebbe compreso a causa del loro aspetto non aderente alle aspettative del cis-sessismo.
Quindi, molte persone non med e non binary si sono dovute allenare ad uno stressante funambolismo linguistico, una sorta di sub-linguaggio fatto di lunghe perifrasi, verbi sempre in forma attiva e che usano l’ausiliare avere, participi presenti e non passati, aggettivi terminanti in -e piuttosto che in -o/a ed altri sforzi linguistici che permettono di parlare di sé in forma neutra.

Non sempre, però, il funambolismo linguistico copre per intero le forme comunicative. In soccorso, arrivano alcune iniziative di attivistə e linguistə, che, se accolte dalla comunità, darebbero “cittadinanza linguistica” a persone di genere non conforme.

Pronomi e nomi nella lingua inglese

Prima di tutto, è necessario fare le dovute differenze tra italiano (e lingue neolatine in generale) e inglese.
Ad esempio, in inglese, la declinazione di genere si basa molto sui pronomi personali e possessivi, e questo fa sì che l’iniziativa di “dichiarare i propri pronomi” quando ci si presenta può essere una grande opportunità di inclusione.
Ad esempio, Linkedin ha da poco introdotto i pronomi anche nella sua versione italiana.
L’inglese prevede anche molti nomi di persona unisex, di cui Alex, Cameron, Logan, Dylan sono solo pochi esempi, mentre in italiano solo Elia, Andrea e poche altre opzioni possono soddisfare il bisogno di presentarsi senza porre l’accento sul sesso biologico.

L’iniziativa della linguista Vera Gheno per la lingua italiana

In Italia, oltre ai pronomi personali, a mettere in difficoltà le persone non binarie sono le declinazioni di aggettivi, participi passati, e nomi di professioni.
Accorre in soccorso di queste persone la linguista Vera Gheno, che propone l’uso della Scevà (dal tedesco, schwa), indicata dal simbolo ə.
Il suono fonetico di questa vocale è un suono cupo presente già in molti dialetti italiani.
L’iniziativa di Gheno si accoda a molti tentativi dell’attivismo, alcuni con un problema fonetico, adatti solo alla forma scritta (la @, l’asterisco, il numero 3), altri con più possibilità di diffusione, come la -u finale.
All’iniziativa di Vera Gheno hanno aderito alcune persone note nel mondo della cultura, come Michela Murgia

La scevà risolverebbe tre importanti problemi linguistici:

  • i plurali relativi a gruppi di genere/sesso misto
  • il rivolgersi a persone di cui non si conosce ancora il genere
  • il rivolgersi a quelle persone che chiedono pronomi neutri (they/them o ləi), richiesta che non riguarda tutte le persone non binarie, ma una parte di loro

Sen l’iniziativa prendesse piede, bisognerà risolvere alcuni problemi, come la scevà nelle url dei siti, ma nulla è impossibile se lo si vuole.
Tante sono le resistenze dai dinosauri della cultura, ma noi non possiamo far altro che appoggiare l’iniziativa di Vera Gheno e sperare che il non binarismo abbia finalmente cittadinanza anche nel linguaggio, per dare sollievo a chi è non binary, ma anche perché il linguaggio educa, e le nuove generazioni hanno l’opportunità di crescere senza l’oppressione linguistica della dicotomia maschile/femminile.