C’è chi definisce la top surgery di Elliot Page «la morte delle donne»

L’articolo di opinione – se così si può definire quanto affermato nello stesso – del quotidiano DIRE (www.dire.it) su una recente foto in costume da bagno pubblicata da Elliot Page è l’apice degli attacchi che l’attore ha subito dal giorno del proprio coming out come persone trans non-binary.

All’epoca dei fatti, Page era già stato accusato da una parte del mondo femminista radicale di aver scelto di intraprendere un percorso di transizione perché in una società patriarcale sarebbe più facile essere un uomo. Ragionamento che però, per qualche ragione, non vale per le donne trans con genere maschile assegnato alla nascita, che dalle femministe radicali vengono viste come una minaccia per le donne.

ArciLesbica Nazionale non aveva perso l’occasione di ridicolizzare il coming out insieme alle battaglie del movimento queer per un linguaggio inclusivo. «Colpitu dal coming out di Elliot Page, alcun* attivist@ di ArciLesbica prendono coscienzo di sé – si leggeva sulla pagina Facebook dell’associazione – Cristino, Stello, Beatore, Luiso, Lucìo, Saro, Flavìo ora sono felici ma soffrono: “tutto pur di non essere donne”». Da scompisciarsi dalle risate.

Ora ad alzare l’asticella del non-rispetto ci pensa una giornalista, che pensa bene di fare ripetutamente deadnaming e di colpevolizzare l’attore affermando che il suo intervento al seno – chiamato impropriamente masectomia – sarebbe «la diminutio del femminile sotto mentite spoglie», il «rifiuto» la «morte delle donne», un atto violento nei loro confronti. Questo perché la decisione di Page di rimuovere il seno potrebbe, secondo la giornalista, portare qualcuno a pensare che una donna che perde il seno per una malattia non è più una donna. Dunque l’attore avrebbe dovuto rinunciare a un intervento che lo fa sentire bene con se stesso perché qualcuno potrebbe pensare che le donne senza seno non siano vere donne. Un ragionamento che si fa proprio fatica a seguire, ma che non è il solo dell’articolo.

Sotto la lente di ingrandimento della giornalista c’è, infatti, anche il genere di Elliot. Essendo l’attore dichiaratamente non-binary, la donna non si spiega perché abbia deciso di rimuovere il seno, come se la cosa potesse in qualche modo riguardarla: «Non sarà, mi viene questo sospetto, che semplicemente non vuoi essere una donna ma ora va di moda dirlo in altro modo?». Ancora una volta si cerca di sovradeterminare una persona trans, pensando di poter stabilire per ləi il suo reale genere di appartenenza.

La replica di Non Una Di Meno

Il laboratorio libere soggettività trans* dell’associazione transfemminista Non Una Di Meno ha scritto una lettera alla redazione di DIRE. «Si muovono accuse di femminicidio alle persone trans* – si legge – stigmatizzando e criminalizzando i loro comportamenti e le loro scelte. I percorsi di affermazione della propria identità di genere e i conseguenti interventi di allineamento del proprio corpo al proprio genere non uccidono nessunə. Non siamo natə in corpi sbagliati, non eravamo e ora diventiamo. Qualsiasi sia il momento della nostra vita in cui affermiamo la nostra identità e la comunichiamo, qualsiasi sia il punto del nostro percorso siamo noi e ci siamo sempre statə».

«Si ridicolizza la “gioia trans” – continua la lettera – Lo ribadiamo “siamo euforichə e non disforichə”. Perché questa è la nostra resistenza a secoli di invisibilizzazione, persecuzione, repressione, uccisioni, psichiatrizzazioni. Ci hanno chiusə in manicomi, galere, campi di concentramento, e continuano a farlo e continuano a imporci che sia un medico troppo spesso cis, bianco e maschio a decidere, valutare, testare, rilasciare certificazioni che attestano quello che solo noi possiamo attestare, affermare, vivere».

Ciò che ci allarma è che l’ideologia gender critical stia prendendo piede anche all’interno della politica. Oltre alla destra, che ha sempre ostacolato qualsiasi riconoscimento dei diritti delle persone trans e non-binary, ora anche nel centrosinistra ci sono esponenti politici che mettono in discussione la presenza dell’identità di genere all’interno del ddl Zan, cancellando oltre alle persone il progresso scientifico che sul tema non è diviso come le femministe radicali vogliono farci credere.