Condannato a 30 anni per non aver rivelato di aver contratto l’HIV ai partner sessuali, vince ricorso

La C.d.A. ha sentenziato che il processo di Michael Johnson (a.k.a. Tiger Mandingo) è stato contaminato da omofobia e razzismo

Il wrestler statunitense che era stato condannato a 30 anni di carcere per non aver rivelato di aver contratto l’HIV ai suoi partner sessuali, ha vinto l’appello ed è stato rilasciato con 25 anni anticipo.

Michael Johnson era stato accusato di aver infettato molteplici partner di sesso maschile nel 2013; due anni dopo il processo si è concluso con la sua condanna da parte di una giuria composta totalmente da uomini bianchi, molti dei quali hanno poi ammesso di aver emesso la sentenza partendo dalla convinzione che l’omosessualità sia un peccato. La condanna di Johnson ha sollevato numerose polemiche e ha riaperto le discussioni sulla validità o meno delle leggi che criminalizzano l’HIV.

Dopo un anno di pena scontato in totale isolamento, Johnson è ricorso alla Corte d’Appello che ora, dopo quasi 5 anni, ha giudicato il processo “fondamentalmente ingiusto” e contaminato da omofobia e razzismo, visto che gli uomini di colore in questo ambito vengono puniti in maniera sproporzionata per via del più alto tasso di persone di colore infette da HIV negli USA.

Dopo aver ritirato la condanna, ritenuta troppo severa per il reato, Johnson è stato rilasciato e dovrà ora osservare tre anni di libertà vigilata. Sperando che il suo caso possa portare a delle modifiche in materia di diritto ha dichiarato: «Mi sento benissimo. Lasciare la prigione è una sensazione cosi bella».

Timothy Lohmar, avvocato che ha perseguito Johnson, ha adesso modificato la sua posizione e si è dichiarato a favore del cambiamento delle obsolete leggi del Missouri, Stato in cui ha avuto luogo la vicenda, sull’HIV.

 

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