In un’intervista a GQ, il centravanti del Cagliari Leonardo Pavoletti parla della xenofobia nel mondo del calcio, affermando che per lui è diventato solo un lavoro che non lo diverte e che gli dà ansia, tanto da non guardare le partite quando è a casa. Il 31enne livornese ritiene «impossibile che non ci siano omosessuali tra i calciatori» ma non biasima tuttavia chi non fa coming out: «Mi dispiace che si nascondano, anche se posso capirli: il nostro è un mondo maschilista».
La situazione non è migliore per quanto riguarda le minoranze etniche. «Il calcio è sempre più inquinato dal razzismo – afferma Leonardo Pavoletti – È una situazione desolante. Lo stadio è lo specchio della nostra società: ti vomitano addosso di tutto. Penso con tristezza a questi poveri ragazzi di colore che vengono a giocare da noi: ma che colpa ne hanno?».

Il calciatore rossoblù racconta di una vita piena di alti e bassi, che la visto lottare con la depressione e affrontare un’adolescenza difficile. «Mi sono allungato 20 centimetri in pochissimo tempo – confida Pavoletti – soffrivo per il morbo di Schlatter, le ossa non sostenevano la crescita muscolare. All’epoca mi chiamavano il “Conchi”, cioè il “Conchiglia”, per via delle orecchie: le ho belline, ma piccole e tonde». Leonardo Pavoletti aggiunge che non ambisce alla perfezione: «Non piace, mi “stucca”, come diciamo a Livorno, mi stanca. A me piace sbagliare, sporcarmi con le cose della vita. Mi definisco un centravanti operaio, come lo è stato il mio idolo, Cristiano Lucarelli, mito di Livorno. Nella vita mi sono sudato tutto. Sono cresciuto sentendomi dire che non sarei mai arrivato a certi livelli».
Intelligente, talentuoso e anche figo – tanto da guadagnarsi un posto nel nostro torneo dei calciatori più sexy della serie A – Leonardo Pavoletti sembra, da queste dichiarazioni, meno imperfetto di quanto voglia dare a vedere, un campione dentro e fuori dal campo.

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