India, 16enne queer vittima di bullismo si suicida: «Papà mi spiace non poter essere un bravo figlio»

«Papà mi spiace non poter essere un bravo figlio. Non sono come te. Ho caratteristiche femminili, anche il mio viso assomiglia a quello di una donna. La gente ride di me. Persino io inizio a sentirmi un Kinnar. La mia vita renderebbe la tua più difficile, quindi la mia morte è necessaria. Benedicimi affinché io rinasca femmina. Se nascerà una donna nella nostra famiglia, per favore credi che sarò io, ritornata».

Sono le parole, riportate da National Herald India, con le quali una giovane anima di 16 anni (che usava i pronomi maschili) ha salutato la famiglia. Sembrerebbe che l’idea del suicidio si sia fatta più facile dopo la morte di Sushant Singh Rajaput, star del cinema che si è tolta la vita il 14 giugno a causa di problemi di depressione, rompendo questo tabù per il giovane, che era vittima di bullismo da parte non solo dei compagni di classe e di estranei, ma anche da alcuni membri della famiglia.

Nel biglietto di addio il giovane dichiara di iniziare a sentirsi un Kinnar, noti anche come Hijara, considerato un “terzo genere” legalmente riconosciuto in alcune parti dell’India. Questa parte di popolazione che comprende eunuchi, transgender e intersex, prende il nome da una stirpe di divinità, dedite alla musica ed al ballo e prive di genere.

Nonostante i Kinnar siano presenti da secoli nella cultura indiana, non sono comunque ben accetti, ritenuti frutto di peccati nella vita precedente. Avere un figlio Hijara è una vera e propria onta per le famiglie, togliendosi la vita il ragazzo voleva proteggere la famiglia dal disonore. Il padre, già vedovo, si dichiara addolorato per la perdita, racconta che il giovane ogni tanto si truccava e ballava, comportamento ritenuto strano, ma non manca di puntare il dito contro i membri della famiglia che hanno spinto il sedicenne al tragico gesto.

Alcune settimane fa, un’altra ragazza si è tolta la vita in India a causa della non accettazione dei propri genitori, la quale l’avevano sottoposta a delle terapie riparative.