Claudio Marchisio parla di omofobia: «Ora so che qualcuno dei miei compagni può aver sofferto»

Nel nuovo libro “Il mio terzo tempo” di Claudio Marchisio, ex centrocampista della Juventus e della Nazionale, trova spazio un capitolo in cui si parla di omosessualità e omofobia nel mondo del calcio.

«Nella mia storia sportiva posso dire di non avere quasi nessun rimpianto – scrive l’ex calciatore bianconero – Se di qualcosa mi posso rammaricare, casomai, è proprio il fatto di non essere arrivato prima a comprendere quante situazioni ho dato per scontate senza considerare che potessero in qualche modo fare male a qualcuno. Il tema dell’orientamento sessuale e quello della marginalizzazione dell’omosessualità sono certamente due di queste questioni».

«Non so – continua Marchisio – se ho mai avuto dei compagni di squadra omosessuali. Se ci sono stati, non si sono mai sentiti liberi di dirlo pubblicamente, né a me (cosa che conta poco) né al mondo». Nella stesura di questo capitolo, l’ex calciatore torinese cerca di analizzare anche quanto la disinvoltura e la sfacciataggine, usata dai ragazzi nel pronunciare parole come “fr**io” o “finoc**io, potesse essere una sorta di riparo dalle proprie fragilità, celata da atteggiamenti maschilisti e machisti.

«Eravamo ragazzini – spiega – e come tutti gli adolescenti ci portavamo dietro i modelli che introiettavamo dai nostri miti. E lì il modello era uno e uno soltanto: l’uomo che non deve chiedere mai, come recitava anche una pubblicità (oggi fortunatamente ridicola) di quegli anni. Ora so che qualcuno di quei compagni può aver sofferto, può essersi sentito sbagliato, magari ha interrotto il suo percorso sportivo proprio per smettere di sentirsi isolato e sotto assedio».

Marchisio non punta il dito soltanto verso un modo di comportarsi errato dei ragazzi, ma lo fa anche verso gli adulti che evitano discorsi ritenuti imbarazzanti. «Non mi sarei mai sognato – dice – di condividere con il mio allenatore delle giovanili i miei dubbi adolescenziali, così come non lo avrei fatto con i miei maestri e professori di scuola […] E la distanza era ricambiata, perché nessuna di queste figure adulte ha mai provato ad aprire quella porta, a mostrare che ci si poteva confrontare liberamente e che nessuno era sbagliato. Ciascuno sperava che a parlare delle questioni “imbarazzanti” fosse qualcun altro, problema risolto».

Il capitolo si conclude con un meraviglioso messaggio di speranza, rivolto all’abbattimento dell’atteggiamento machista e ad una vera e propria “rivoluzione dei costumi”, come viene da lui definita. «Bisogna che l’inconsapevolezza di fondo sparisca, – afferma Claudio – è necessario che il linguaggio comune si liberi una volta per tutte da qualunque ammiccamento machista, da ogni ironia sottintesa quando si parla di orientamenti sessuali. Sono convinto che debba arrivare il giorno in cui i discorsi sulla sessualità, qualunque orientamento questa abbia, perderanno l’aura di malizia che ancora oggi li ammanta».

 

 

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