Transfobia natalizia sul Fatto Quotidiano: «Mariti a trans prima del cenone»

A una settimana dell’inizio del nuovo decennio, si parla ancora di «andare a trans» per indicare qualcuno che va a fare sesso con delle prostitute. Ma quello che ancora di più destabilizza è che lo stereotipo inossidabile delle donne transgender, vale a dire coloro che compiono una transizione MtF, continua a essere ricalcato dalla stampa nazionale.

Un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano in occasione dell’antivigilia di Natale riporta nel titolo la frase «Mariti a trans prima del cenone», per riproporre la classica storiella dell’escort transgender che fa grandi affari regalando momenti di piacere ai padri di famiglia. A prestarsi a questo giochetto, probabilmente per la visibilità che un pezzo del genere può dare, è la solita Efe Bal, definita da alcuni la trans più famosa d’Italia, come se, giusto per fare un nome, Vladimir Luxuria fosse meno nota.

Il testo apre parlando dell’«affetto ambiguo di un’escort transessuale», per poi riportare delle dichiarazioni dell’escort in cui le donne transgender vengono chiamate (ancora una volta) al maschile: «sono più focosi, gli uomini con un debole per i trans». Se vogliamo, è ancora peggiore l’accostamento che viene fatto nell’articolo che vede un parallelismo tra le prostitute transgender e le bambole gonfiabili.

Gianmarco Capogna ha commentato la triste pagina di giornalismo in un riflessione su Facebook: «Esistono persone, anche trans*, che scelgono volontariamente di essere sex worker e ce ne sono altre, invece, che finiscono nel vortice della prostituzione a causa di tratta, sfruttamento o per fenomeni di abbandono e marginalizzazione sociale. Tutte questioni che vanno trattate con sensibilità e responsabilità». Il portavoce di Possibile LGBTI+ ha anche aggiunto: «Non sono più accettabili questi modi di raccontare le persone trans* nella perenne rincorsa di stereotipi e pregiudizi che incatenano la narrazione di queste identità solo al mondo della prostituzione. È inaccettabile che ci sia ancora questo tipo di linguaggio nei confronti delle persone in transizione. Servono narrazioni ampie capaci, come per tutte le persone, di rappresentare la complessità sociale».

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