I balocchi degli allocchi: la bufala virale della bambola trans

Lo spauracchio del gender non passa mai di moda, così mentre 20 anni fa una psicologa avvertiva che Sailor Moon ci avrebbe reso delle femminucce, nell’era della (dis)informazione social (ma anche giornalistica) siamo passati direttamente alla bambola trans. Sì, è questa la virale notizia che sta rimbalzando negli ultimi giorni sul web con un messaggio, a volte subliminale e altre esplicito, che si rifà alla fantomatica teoria del gender, usata come arma contro qualsiasi rivendicazione di diritti da parte delle persone LGBT+, a partire dalla legge contro l’omotransfobia.

Una prima fake news è stata sbufalata dal sito di debunking BUTAC – Bufale Un Tanto Al Chilo, diffusa dalle Sentinelle in piedi della sezione di Siracusa, che in un post Facebook a firma di Marco Galateo scrivono: «Ecco la bambola trans. Viene regolarmente venduta in commercio. Solo che la mamma o il papà compra una bambola che è femmina fuori, quando poi la bambina ci gioca, scopre che in realtà sotto è un maschietto. Queste bambole rischiano di arrivare anche nelle scuole materne e negli asili nido grazie a progetti sostenuti dalla rete Re.a.dy».

La notizia arriva ben presto su Twitter e sul sito di VoxNews, ma come fa notare BUTAC il colore della testa del bambolotto differisce da quello del corpo, è dunque logico presumere che siano stati montati insieme i prezzi appartenenti a due bambole diverse. A conferma di ciò, il debunker afferma: «Non ho trovato traccia su cataloghi di giocattoli online di nulla del genere». Non a caso la bambola è estratta dalla confezione, che non appare in foto: non è quindi possibile risalire ad alcuna casa di produzione né a qualsiasi altra informazione che permetta di verificare la veridicità della notizia.

La bambola trans 2.0

Oggi, la bufala della bambola trans era ancora in circolazione quando il Daily Mail ha lanciato in pasto al web una nuova notizia non verificata, anche questa riguardante una bambola trans. La notizia è stata ripresa da alcuni quotidiani italiani, tra cui tra cui Il Messaggero, Globalist e Adkronos, oltre che agli immancabili giornali di estrema destra. Come per il primo caso si tratta della bambola di un bebè con la testa di una femminuccia e i genitali maschili e, anche questa volta, non c’è la minima indicazione sulla casa di produzione né su la persona che ha denunciato la scoperta. L’unica informazione aggiuntiva è il negozio, in Siberia, dove sarebbe stata acquistata, ma l’articolo del Daily Mail, scarno di informazioni, viene rimpolpato da alcuni tweet di utenti che hanno commentato la foto sui social. Non si tiene nemmeno in conto la possibilità di un errore di produzione del singolo pezzo, puntando al sensazionalismo. La notizia resta tutta da verificare ma è appetibile in termini di click e la verifica delle fonti viene lasciata come esercizio al lettore.

Gloria Sechi, utente del gruppo Facebook LGBT+ Cruising Bar, ha commentato la notizia: «A una trans bambina non piace la bambola con il pisello, anzi nemmeno pensa a quello che può avere o meno tra le gambe, poiché vive nella sua innocenza. Quindi, come per gli etero, anche la bambina trans va educata come “bambina”. Io, in quanto trans, se questa cronaca fosse vera mi sentirei profondamente offesa. Chi ha creato questa bambola (mi sento di aggiungere volgare, ma non perché ha il pisello) non ha tenuto conto di quanta sofferenza e vergogna sente una transessuale ogniqualvolta deve urinare o semplicemente lavarsi? Mancanza di rispetto, aggiungo, perché creare polemiche sterili, che senso ha?».

L’osservazione di Gloria è consivisibile: a cosa servirebbe un bambolotto con dei genitali? Probabilmente a nulla. Se le bambole gender neutral (e più adulte) della Mattel hanno un senso per la fascia d’età a cui sono rivolte, affidare a un bambino o a una bambina una bambola coi genitali, siano essi di qualsiasi tipo, è a prescindere inopportuno e prematuro, anche per le più nobili finalità educative. Non è questo l’obiettivo della Rete Re.a.dy. o dei progetti che nascerebbero grazie alle leggi contro l’omotransfobia e ad altri programmi di educazione alle diversità nelle scuole. Chi sostiene il contrario lo fa in malafede, spinto dall’omofobia, e chi non verifica le fonti ne è complice, inquinando l’informazione e facendone pagare le spese alle minoranze.

 

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