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«Non assumerei mai persone omosessuali». Sentenza della Corte di Giustizia contro l’avvocato Taormina

Nell’attesa che una legge contro l’omo-transfobia entri nel nostro ordinamento, arriva l’ennesima sentenza a ricordarci dell’esistenza di un altro discriminatore di professione del nostro Paese: l’avvocato Carlo Taormina.

È nota la difficoltà con la quale il popolare conduttore radiofonico Giuseppe Cruciani riesce a tirar fuori dalla bocca di Taormina delle esternazioni colme di disprezzo, più o meno la stessa fatica compiuta per ricevere un delirio televisivo di Vittorio Sgarbi. Successe però che durante una puntata de “La Zanzara” del 2013, l’avvocato penalista affermò che non si sarebbe mai avvalso della collaborazione di gay all’interno del suo studio. La carica d’odio di questa frase non cadde nel vuoto e l’indignazione generale si tradusse in una causa intentata dall’Associazione di avvocati per i Diritti LGBT+ Rete Lenford. I legali dell’Associazione ottennero la condanna al risarcimento del danno quantificato in €10.000 e la pubblicazione in estratto su un quotidiano nazionale del provvedimento, dapprima del Tribunale di Bergamo, e, successivamente, della Corte d’Appello di Brescia.

Non dandosi per vinto, Taormina ha presentato ricorso in Cassazione e la Suprema Corte, prima di emettere la sua sentenza definitiva, si è rivolta alla Corte di Giustizia in via pregiudiziale, ovvero ha richiesto ai giudici di Lussemburgo quale fosse la corretta interpretazione da fornire alla nozione di «condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro» contenuta nella Direttiva dell’Unione europea c.d. “antidiscriminazioni“ che sta alla base delle condanne in primo e secondo grado.

La Corte di Giustizia, riconoscendo la piena legittimità ad agire in giudizio di Rete Lenford, ha così scritto nel comunicato stampa apparso dopo la sentenza pronunciata quest’oggi: «L’esistenza di un siffatto collegamento deve essere valutata dai giudici nazionali sulla base delle circostanze caratterizzanti le dichiarazioni in questione. In particolare sono rilevanti, a tal riguardo, lo status dell’autore delle dichiarazioni e la veste nella quale egli si è espresso, i quali devono dimostrare che egli esercita o può essere percepito come capace di esercitare un’influenza determinante sulla politica di assunzioni del datore di lavoro. I giudici nazionali devono altresì prendere in considerazione la natura e il contenuto delle dichiarazioni in questione, nonché il contesto in cui sono state effettuate, in particolare il loro carattere pubblico o privato».

«La libertà d’espressione non è un diritto assoluto e il suo esercizio può incontrare limitazioni, a condizione che queste siano previste per legge e rispettino il contenuto essenziale di tale diritto nonché il principio di proporzionalità. Questo principio – prosegue la Corte – impone di verificare se tali limitazioni siano necessarie e rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale riconosciuti dall’Unione o all’esigenza di tutela dei diritti e delle libertà altrui». Nel caso Taormina, dunque, i giudici ritengono che tali condizioni siano state soddisfatte, in considerazione del fatto che le limitazioni scaturiscono direttamente dalla Direttiva “antidiscriminazioni” e si applicano unicamente allo scopo di perseguire le finalità che essa si pone: garantire il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro e realizzare un elevato livello di occupazione e di protezione sociale.

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