Facebook, Instagram e Twitter vietano i post sulle terapie riparative

Tempi duri per chi si fa promotore di ascientifiche terapie di conversione all’eterosessualità, note con il nome di terapie riparative: dopo Instagram, anche Facebook e Twitter vietano la pubblicazione di post in cui si parla di fantomatiche guarigioni da un determinato orientamento sessuale o identità di genere.

Tara Hopkins, Head of Public Policy EMEA di Instagram ha dichiarato alla CNN: «Non consentiamo attacchi contro persone basati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere e stiamo aggiornando le nostre politiche per vietare la promozione dei servizi di terapia di conversione». Instagram ha infatti rimosso alcuni post dellla Core Issues Trust, un’organizzazione cristiana che promuove le terapie riparative.

Facebook si è limitato a dire che estenderà le sue politiche esistenti in materia di incitamento all’odio in tutto il mondo per includere post che pubblicizzano o promuovono le terapie riparative. Lo stesso farà Twitter.

Terapie riparative: un fenomeno reale e pericoloso

Oltre a essere non riconosciute dalla comunità scientifica internazionale, sono tanti gli enti che hanno preso le distanze dalle terapie riparative (tra cui l’OMS, l’American Psychiatric Association e l’Ordine degli Psicologi Italiani), sulla cui efficacia non ci sono evidenze scientifiche ma molte preoccupazioni su gravi consequenze psicologiche.

Uno studio scientifico pubblicato su una rivista internazionale a inizio luglio ha evidenziato come ricorrere alle terapie di conversione raddoppi il rischio di suicidio nei giovani LGBT+. Nonostante ciò, in molti Paesi – inclusa l’Italia – queste pratiche sono ancora legali e promosse da associazioni pro life – anche tra le sponsorizzazioni di Google – e da organizzazioni di stampo religioso, per non parlare delle apparizioni televisive di personaggi che si dicono “ex gay”.

I giovani LGBT+ a essere sottoposti alle terapie riparative sono più di quelli che si può immaginare: si stima che negli Stati Uniti siano il 7% e nel Regno Unito il 2%. In un’indagine a cui hanno partecipato i nostri lettori, il 4% ha affermato di essere stato sottoposto a una terapia riparativa. Per questo non è più possibile aspettare e, come proposto da Arcigay e Non Una Di Meno, il divieto a queste pericolose pratiche deve essere introdotto all’interno del disegno di legge Zan contro l’omotransfobia.