I numeri sono decisamente ancora troppo alti: le persone LGBT+ si ritrovano spesso a lavorare in un ambiente non inclusivo. Secondo una ricerca condotta dal Chartered Institute of Personnel and Development (CIPD) nel Regno Unito, il 40% delle persone lesbiche, gay e bisessuali ha subito un qualche tipo di conflitto a lavoro, a differenza della controparte eterosessuale che si ferma al 29%. E non si parla della litigata con *l* collega che ha dimenticato di compilare un file importante, ma di umiliazioni, insulti e discriminazioni vere e proprie. Non a caso, ancora molte persone decidono di non fare coming out con i propri colleghi o datori di lavoro.
I numeri non migliorano certamente, se teniamo conto della comunità trans. In quel caso, più del 55% delle persone intervistate hanno avuto un qualche tipo di conflitto. Di cui almeno il 50% di essi non si è risolto in maniera positiva.
«Mi piacerebbe vedere un mondo – commenta la direttrice al controllo sicurezza sui posti di lavoro della Stonewall, Kate Williams – dove ogni persona LGBTQ+ è al sicuro e trattata al meglio, come chiunque altro. Ma questi dati, non sono altro che la prova dimostrante il fatto che le persone LGBT+ sono ancora soggette a discriminazioni sul posto di lavoro».
Il dato più allarmante è proprio la percentuale di conflitti che rimangono irrisolti. Infatti nel 51% dei casi di discriminazione, nel 49% dei casi di insulti/abusi verbali e nel 47% dei casi di aggressione fisica, non si è giunti ad alcun provvedimento.
La mancanza di sicurezza sul posto di lavoro
Melanie Green, ricercatrice presso il CIPD, ha spiegato come la ricerca suggerisca che troppe persone LGBTQ+ non si sentono al sicuro sul proprio posto di lavoro, al punto da sentirsi accettatə e libere di esprimere se stesse. «Questo – sottolinea Green – può decisamente avere un impatto negativo nei riguardi dei propri rapporti lavorativi il proprio livello di soddisfazione sul posto di lavoro. È ancora più drammatico sapere quante persone hanno visto i propri conflitti non venire risolti. Tutto ciò deve finire: ognuno di noi ha il diritto a sentirsi al sicuro e, soprattutto, se stessə sul posto di lavoro».
Sebbene diverse aziende abbiano dei safe space o gruppi di ascolto, questo tipo di servizio è disponibile solo per il 40% delle persone trans e solo il 50% di loro si sentono libere di partecipare, in maniera attiva e coinvolta, ai meeting e agli eventi sociali della propria azienda.
21 anni, da Torino. Si definisce bello, simpatico, modesto ma soprattutto… bugiardo! Si destreggia tra volley, letto, università, letto, Netflix, Disney e.. letto. “Voler essere qualcun altro è uno spreco della persona che sei.”
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