Lettonia, ragazzo gay (già vittima di omofobia) bruciato vivo

«Abbiamo dovuto per forza aspettare la mutilazione o la morte di qualcuno, per ottenere un riscontro dalla polizia». Sono queste le parole dure di Artis Jaunklavin, collega e coinquilino di Normunds Kindzulis, il giovane paramedico lettone gay di 29 anni morto a causa dei danni riportati dopo essere bruciato vivo.

Nelle prime ore della notte del 23/04, Jaunklavin diceva di non aver visto il coinquilino, finché non lo ha riconosciuto mentre quest’ultimo bruciava vivo, fuori dal loro appartamento. «Ho provato a spegnere le fiamme» ha spiegato Jaunklavin. «L’ho preso in braccio e l’ho portato nella vasca da bagno. Ma, a quel punto, le bruciature erano troppo severe: i vestiti abbrustoliti si erano fusi con la pelle».

Il giovane paramedico aveva già ricevuto minacce numerose volte per la sua omosessualità da parte di un vicino abitante nel loro quartiere. Queste minacce si erano concluse, purtroppo, con quattro diversi attacchi in passato. «Abbiamo provato a riportare queste minacce sia alla polizia che sul posto di lavoro del vicino omofobo. Ma questo non ha provocato alcuna reazione. Abbiamo dovuto per forza aspettare la mutilazione o la morte di qualcuno, per ottenere un riscontro».

La pronta corsa in ospedale

Entrambi i giovani sono stati presto portati in ospedale. Kindzulis aveva delle bruciature sull’85% del proprio corpo. Questo, in particolare, perché i suoi vestiti erano stati immersi in un liquido infiammabile. Invece, Jaunklavin ha subìto diverse ferite, nel tentativo di spegnere le fiamme presenti sull’amico.

Cinque giorni dopo l’attacco, il 28 Aprile, Kindzulis è morto in seguito alle bruciature riportate. La sua morte ha scioccato l’intero paese e diversi attivisti lettoni pensano che la morte del giovane sia il risultato di un crimine d’odio.

Per quanto riguarda la polizia, le notizie riportate raccontano che la stessa si è trovata inizialmente riluttante a catalogare l’omicidio come crimine d’odio. Il motivo è semplice: a loro dire, l’accaduto potrebbe essere investigato come un suicidio, a causa delle minacce ricevute. È così che il vice-capo della polizia lettone, Andrejs Grishins, ha definito l’accaduto. «Fare arrivare qualcuno al limite e spingerlo al suicidio, è considerabile anch’esso un crimine» ha detto.

Le reazioni del Paese

Molti sono stati i tweet di supporto e condoglianze, nei riguardi dell’accaduto. Dalla European Pride Organisers Association, fino al primo ministro Krišjānis Kariņš e allo stesso presidente lettone Egils Levits. «Non c’è posto per l’odio in Lettonia. Se verrà confermato che le motivazioni del criminale di Tukums erano relative all’odio nei confronti di una parte di società, questo accrescerà la sua colpa. Uno dei valori della società lettone è la tolleranza e una tale espressione d’odio è, al tempo stesso, un crimine verso la società» ha tweettato il presidente.

Secondo, però, l’associazione ILGA-Europe (European Region of the International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans & Intersex Association), la Lettonia non è per nulla in una buona posizione per quanto riguarda i diritti LGBTQ+. Su 49 paesi analizzati, la Lettonia si piazza al 41esimo posto in materia di leggi e politiche LGBTQ+. Per fare un paragone diretto, la nostra Italia, invece, si piazza ad un altrettanto vergognoso 35esimo posto.

Le manifestazioni in occasioni del Pride, in Lettonia, sono spesso accompagnate da proteste di estremisti di destra. Ma non solo. Il parlamento lettone – la Saeima – all’inizio di quest’anno ha votato in massa per modificare la costituzione e definire la famiglia come «l’unione tra una persona di sesso maschile e una di sesso femminile».