Ddl Zan: il dossier del Senato sbugiarda le femministe radicali sull’identità di genere

Il dossier del Senato sul ddl Zan, vale a dire la relazione tecnica dei giuristi del Parlamento che precede la discussione in Aula in ciascuna delle due camere, mette una volta per tutte un punto su diverse fake news con le quali i detrattori della legge contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo stanno cercando di condizionare l’opinione pubblica, largamente favorevole all’approvazione della norma.

Su una di queste bufale da pochi euro al chilo hanno trovato un punto d’incontro – purtroppo non il solo – sia le femministe radicali (da non confondere con il più ampio movimento femminista) che la destra e le associazioni pro life: l’identità di genere. Un punto d’incontro in realtà fittizio, dato che le motivazioni per cui femministe radicali e leghisti non vogliono la legge son ben diverse, e che vede come agnello sacrificale la comunità più colpita dalla discriminazione all’interno del mondo LGBT+: le persone trans e non-binary.

Sebbene alcune associazioni “gender critical” definiscono l’identità di genere un’ideologia (sì, proprio come fa l’estrema destra polacca) o una superstizione, l’identità di genere è ampiamente riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale. Ora il dossier (disponibile su senato.it) chiarisce, qualora ce ne fosse bisogno, che tale espressione «ha, per la prima volta, trovato ingresso in un testo normativo con la Direttiva 2011/95/UE che l’ha ritenuta identificativa degli aspetti connessi al sesso che possono costituire motivi di persecuzione, soprattutto ove sia evidente un contrasto tra i dati anagrafici e la rappre-sentazione esterna di un genere diverso».

«Nell’ordinamento interno tale disposizione è stata recepita con il D.Lgs. n. 18 del 2014, sull’attribuzione della qualifica di rifugiato – viene sottolineato nel dossier – che individua tra i motivi di per-secuzione (art. 8) l’appartenenza a un particolare gruppo sociale che può identificarsi anche con riferimento all’identità di genere. Utilizza inoltre l’espressione “identità di genere” dal 2018 anche l’ordina-mento penitenziario, unitamente all’espressione “orientamento sessuale”». I giuristi ricordano poi che, in una sentenza del 2015 della Corte costituzionale, è espressamente riconosciuto il «diritto all’identità di genere» come «elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona».

Pertanto, il ddl Zan non introduce niente di nuovo rispetto al nostro ordinamento: chi afferma il contrario mente sapendo di mentire e inquina il dibattito con finalità ideologiche. Inoltre, coloro che ritengono il sesso biologico come univocamente caratterizzante dell’identità della persona, potranno continuare a sostenerlo senza rischiare nessuna condanna. Sempre nel dossier viene sottolineato che l’articolo 4 della legge richiama «quanto espresso dal principio costituzionale […] secondo il quale “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”».

Ritenere che una donna trans sia semplicemente un maschio è e sarà legalmente lecito, sebbene l’espressione di questo pensiero sia offensivo e umiliante. Incitare alla violenza nei confronti delle donne trans invece sarà punito come un crimine d’odio e non come un litigio per la fila alla cassa del supermercato che degenera in violenza. E chi ha paura di questa legge dovrebbe chiedersi il perché.

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