La piattaforma social media cinese WeChat ha cancellato dozzine di account LGBT+ gestiti da organizzazioni non governative e gruppi di studenti. La maggior parte di questi account esisteva da anni e, per lungo tempo, hanno fornito consigli, supporto e un luogo sicuro in cui confrontarsi.
«Dopo aver ricevuto reclami pertinenti – ha comunicato la piattaforma agli account cancellati – tutti i contenuti sono stati bloccati e l’account è stato sospeso». Così, improvvisamente, pagine che esistevano da anni, si sono ritrovate un profilo bianco e senza nome.
L’assoluta mancanza di spiegazioni sulle presunte violazioni della politica della piattaforma fanno pensare, però, a una ripresa della repressione LGBT+ nel Paese. Sebbene la Cina abbia depenalizzato l’omosessualità nel 1997, infatti, la comunità LGBT+ continua a subire discriminazioni nel Paese.
Nonostante una larga fetta della popolazione sia favorevole, ad esempio, non è ammesso il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Sono, invece, largamente consentite le terapie di conversione attraverso l’elettroshock. Nel 2016, il Paese ha vietato tutti i contenuti LGBT+ nei media, definendoli simili all’incesto e agli abusi sessuali. Le azioni anti-LGBT del governo cinese derivano, in parte, dal considerare l’identità queer come una forma di protesta sociale occidentale volta a ribaltare le norme sociali. Con questa motivazione, gli agenti del governo sorvegliano, molestano e imprigionano gli attivisti LGBTQ, considerati “sovversivi”.
«I gruppi di minoranze sessuali esistono da tempo in Cina, ma non a causa di un incitamento da parte delle cosiddette forze straniere – sostiene Cathy manager di uno dei gruppi LGBT cancellati. – Negli ultimi anni, il nostro obiettivo è stato semplicemente cercare di aiutare gli studenti LGBT e fornire loro calore». «Le nostre attività non si fermeranno a causa della chiusura – ha affermato la Zhihe Society della Fudan University. – Al contrario, speriamo di sfruttare questa opportunità per ricominciare e abbracciare il coraggio e l’amore».
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