Hong Kong, i diritti LGBT+ al centro dell’inesorabile repressione cinese

Brutale aggressione a un attivista LGBT, la Corte conferma il divieto al matrimonio gay

Sebbene l’Occidente abbia riservato poca attenzione ai fatti di Hong Kong, nel territorio autonomo del sud-est della Cina è in atto un’ondata di proteste contro la violazione dei diritti umani che per gravità potremmo paragonare al problema immigrazione nel Mediterraneo o ai conflitti che stanno coinvolgendo i curdi siriani.

Nel complesso scenario politico di Hong Kong, tali proteste sono cominciate nel marzo di quest’anno, quando il governo Cinese ha proposto un disegno di legge per l’estradizione di criminali di reati gravi a Pechino per essere processati.



Secondo i movimenti e molti gruppi che difendono i diritti umani, l’emendamento sarebbe stato un primo passo verso l’ingerenza cinese nel sistema giuridico di Hong Kong e avrebbe consentito alla Cina di usarlo contro i suoi oppositori, perché nulla avrebbe impedito al regime di inventare accuse allo scopo di estradare qualcuno.

Gli scontri si sono inaspriti e ad oggi sono state arrestate quasi 1.000 persone, e non stimabili i morti, i feriti e le persone scomparse nel nulla (in pieno stile cinese). È diventato virale il video di un ragazzo abbattuto da un proiettile sparato a meno di un metro di distanza da un ufficiale di polizia.

Anche esponenti e leader delle proteste e attivisti LGBT+, non si sono tirati indietro nelle proteste. Tra questi c’è Jimmy Sham, 32enne apertamente gay e sposato dal 2014, che è stato aggredito la notte dello scorso 15 Ottobre nei pressi di Mong Kok (Kowloon). Sham è dal 2018 il coordinatore del gruppo non violento Civil Human Rights Front ed è tra i principali animatori delle rivolte per la democrazia, che da giugno si battono per limitare il controllo cinese sull’ex protettorato britannico e per i diritti LGBT+. Il video del brutale attacco è diventato virale, attirando l’attenzione di Amnesty International che ha severamente condannato l’accaduto.

In tutta risposta oggi il Tribunale di primo grado di Pechino ha confermato il divieto di matrimonio e di qualsiasi forma di partenariato civile tra persone dello stesso sesso, traminte una sentenza relativa al ricorso di una donna lesbica contro la normativa vigente.



I casi di discriminazione, sopruso e violenza non si limitano ai diritti LGBT+, ma così come accade per la situazione in Kurdistan, l’Europa e gli Stati Uniti non sembrano interessati a intervenire davanti a questi eventi che lasciano sgomento e domande.

Il controllo della Cina su Hong Kong

Hong Kong, ex-colonia britannica e poi Regione amministrativa speciale della Repubblica Popolare Cinese, possiede un sistema politico diverso dalla Cina continentale, infatti viene chiamata il “Paese dei due sistemi”. Il funzionamento dell’indipendente magistratura di Hong Kong si regola secondo il modello di ordinamento giuridico del Common Law. In altre parole, la città gode di un alto grado di autonomia in tutti gli aspetti, tranne che nelle relazioni estere e nella difesa militare che rimangono invece sotto il controllo della Cina continentale.

Nonostante Hong Kong possieda un sistema multipartitico fiorente, un piccolo elettorato controlla la metà della sua legislatura, mentre l’altra metà viene controllata da degli esponenti scelti da Pechino, con un peso non indifferente sulla scelta del Capo dell’esecutivo (o Capo di Stato), che attualmente è Carrie Lam.



Hong Kong è divisa in due parti anche geograficamente. Il Financial District (Central) affacciato sulla Causeway Bay e forse anche la sezione della città che respira internazionalmente posizionata su un’isola dove possiamo ammirarne il bellissimo skyline da un lato, e la parte della penisola (quindi collegata alla Cina continentale) chiamata Kowloon, più tradizionalista in termini di popolazione, cibo e cultura dall’altro.

Nel 1984 il primo ministro cinese e quello britannico firmarono a Pechino la Dichiarazione congiunta sino-britannica: stabilendo che tutti i territori di Hong Kong (continentale e delle isole) sarebbero tornati a far parte della Cina a partire dal primo luglio 1997, anche se la Cina si impegnava a non instaurare immediatamente il sistema socialista, lasciando invariato il sistema economico e politico della città per almeno 50 anni, fino al 2047. Negli ultimi anni, la Cina centrale ha provato più volte di rafforzare la sua presa sul governo di Hong Kong, dapprima spedendo tutti i nuovi ricchi di Pechino ad infiltrarsi nel mercato immobiliare e poi con le riforme.

Nel 2014 la “rivoluzione degli ombrelli”, chiamata così perché l’ombrello era il mezzo grazie al quale i manifestanti si protessero dagli spray lacrimogeni della polizia, portò allo scarto del disegno di legge che avrebbe visto la pre-approvazione da parte del governo centrale dei candidati a Capo dell’esecutivo. Nel 2017 venne proclamata Capo dell’esecutivo Carrie Lam, con una non troppo trasparente spinta da parte del governo di Pechino.



Nel frattempo, anche la libertà di stampa venne inficiata e cinque editori incensurati, che pubblicavano testi critici nei confronti della China main land, sparirono senza lasciare traccia. Nel 2018 chiuse anche l’ultima libreria che pubblicava testi non censurati.

Ma perché la Cina vuole controllare Hong Kong? La risposta è semplicissima: al di là della strategica posizione geografica, Hong Kong è dagli anni ’80 il motore finanziario più forte dell’Asia Pacific, ma è indipendente. Ad oggi, con l’incredibile crescita economica della Cina, avere Hong Kong nelle casse di Pechino, permetterebbe all’economia di Cinese di stabilizzarsi tra le economie più potenti sul globo assieme con America ed Europa.

 

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2 thoughts on “Hong Kong, i diritti LGBT+ al centro dell’inesorabile repressione cinese

  1. Trump è il peggior presidente di sempre, sta distruggendo la politica estera americana lasciando campo libero a Cina e Russia. L’Europa non conta niente perchè è divisa, oggi più che mai a causa del sovranismo cmq ha riscosso un certo successo, purtroppo.

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