«L’ho preso. Ho preso l’AIDS.»: recensione di Bohemian Rhapsody

Bohemian Rhapsody è uno di quei film che piace. Piace a quattro studenti che dividono una casa e che centotrentaminuti sul frontman dei Queen possono valere non attendere lo streaming. Piace alla coppietta di mezza età che si perde nostalgicamente tra le note di Love of My Life. Piace a una madre che si commuove osservando quella di Farrokh Bulsara (vero nome di Mercury), piace al cultore della musica che ricorda la voce fuori dal comune (e dal coro) di Freddie, ma c’è da esserne certi che sia piaciuto anche a coloro che, ignorando i Queen, sono entrati in sala per accompagnare qualcuno e poi ne sono usciti con una storia. Non per nulla, al suo primo giorno di proiezione nella sale italiane è stato visto da oltre 100.000 spettatori e a 3 settimane dall’uscita nelle sale statunitensi (4 novembre), è il secondo film biografico musicale più visto di sempre (dietro solo a Straight Outta Compton, il film sui Niggaz Wit Attitudes del 2015).

Il risultato è un album dei ricordi per i più âgées e una (ri)scoperta per i più giovani, generazioni diverse unite dal coinvolgimento che si genera in sala (cosa non si darebbe per poter essere teletrasportati nello spazio e nel tempo in solo uno di quei venti minuti del Live AID?).

Di contro, c’è una critica che nemmeno intravede spazi di originalità: “quello che conta è la ricostruzione pedissequa e la performance emulativa degli attori” (Marzia Gandolfi). Del resto, era lecito non attendersi un biopic da Premio Oscar che, tra l’altro, non si saprebbe nemmeno a chi consegnare: forse a Brain Singer, licenziato nel 2017, o magari a Dexter Fletcher che lo ha concluso? Forse la formula era semplicemente “fai finire quella dannata cosa” (Steve Rose).

Ecco, un tipico caso in cui le rieview hanno un’opinione diversa dal pubblico pagante. Nessun alibi, ma Bohemian Rhapsody risente ulteriormente della travagliata sceneggiatura scritta dapprima da Peter Morgan e poi riscritta da Anthony McCarten. Le carte in regola per una nomination sembrerebbe invece avercele tutte Rami Malek per la sua interpretazione di Mercury, ma chissà come sarebbero state la performance di Sacha Baron Cohen o di Ben Whishaw che avrebbero dovuto essere al posto di Malek se solo non fossero sorti altri litigi e rinunce!

Eppure per il cinema le rockstar sono sempre state dei doni preziosi perché hanno vissuto vite maledette e mai banali. Quella di Freddie è l’emblema delle speranze e delle ansie della LGBTI community degli anni ’80. La ribellione nei confronti della famiglia nella figura del padre Parsi e del suo refrain: «buoni pensieri, buone parole, buone azioni». L’eccentricità dell’astro nascente dei Queen è colta da una frociarola antelitteram come Mary Austin, unica vera donna della vita di Freddie, che intravede prima di tutti real Freddie e ne favorisce coraggiosamente e involontariamente la transizione a una piena maturità sessuale: “mi piace il tuo stile, dovremmo tutti rischiare un po’ di più”.

Quella ribellione originaria trova la sua gloria nel successo planetario condiviso con Brian, Roger e John: la famiglia dei Queen. Anzi no, Brian, Roger e John tornano a casa e trovano delle mogli e dei figli e pure Mary ha un nuovo fidanzato. Freddie no. Paul, “una checca di Belfast”, dopo aver contribuito a sparigliare le carte della sessualità della leggendaria rockstar, ne consegna l’anima a sesso, tanta droga e poco rock and roll.

Nasce il profilo ideale per un’opinione pubblica che adora ritrovarsi nelle categorizzazioni e gli eccessi calzano a pennello se sono riferiti a un omosessuale. Freddie però non è solo e la luce in fondo al tunnel è l’affetto mai tramontato verso Mary, unica vera donna della sua vita. Freddie riparte. Il ritorno in band e l’operazione umanitaria del Live AID, i suoi inseparabili gatti e Jim Hutton unico e fedele compagno di vita: «buoni pensieri, buone parole, buone azioni». Il passato non è però senza conseguenze e lascia una ferita che in quegli anni significa morte: “ L’ho preso. […] Ho preso l’AIDS”. Tanto dolore fisico, ma nessuna pietas: musica fino all’ultimo giorno. Perché The Show Must Go On. Perché altrimenti non sarebbe stato Freddie.

Diego Baldoni

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