Un viaggio nel “Bosco” con Nicola Lombardo, tra friendzone e ragazzi imperdonabili

Nicola Lombardo, classe ’95, è un cantautore cremonese che ha appena lanciato il suo secondo album “Bosco”. Dichiaratamente gay, Nicola parla di relazioni nel più contemporaneo dei modi, su delle sonorità tra l’indie e il synth-pop. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio una delle promesse dell’underground italiano.

L’intervista

Nel tuo “Bosco” ho visto un po’ quel viaggio che Dante intraprendeva nella selva oscura della Divina Commedia. Il poeta si imbatteva però in questo viaggio nella mezza età, mentre tu sei molto più giovane, all’inizio di quella fase di vita in cui bisogna smarrirsi per poi ritrovarsi dopo aver raccolto le proprie consapevolezze. Quali sono i “gironi” che si trova ad affrontare un 23enne di oggi?

Un ventitreenne è una persona che si ritrova a passare per decine di ponti traballanti come i tirocini non pagati, la fretta del finire gli studi, la fuga dalle abitudini negative, la sfiducia verso ciò si ha attorno, il bisogno di sentirsi indipendenti, il bisogno di condividere e la voglia di innamorarsi in un mondo che fa di tutto per spingerci verso il narcisismo e il più tossico egoismo. Se da adolescenti c’è una noncuranza, un non pensare a quanto di traballante ci circonda, arriva poi un momento in cui la fretta e il bisogno di calma non fanno altro che mettere in risalto le tante sicurezze che incontriamo.

“Bosco” è il tuo secondo album, il primo completamente in italiano dopo tua prima fatica “My Blue Side” del 2014. Cos’è cambiato nella tua musica in questi 5 anni?

Innanzitutto c’è un approccio totalmente diverso: non scrivo più in inglese. Ho sempre usato questa lingua per non farmi capire, in quanto chi ascoltava il primo album era spesso mio coetaneo, e 17 anni non tutti hanno un livello C1 di inglese (nemmeno io in realtà, infatti ho individuato qualche strafalcione, in qualche vecchia demo, che è meglio non riesumare). Cambiare la lingua in cui si scrive fa tutto: in Italiano è più facile, per chi è madrelingua, scrivere “al microscopio” e raccontarsi nel modo più coerente possibile. Per il resto, nel corso degli anni c’è stata una lunga ricerca di suono che è terminata con un album che rispecchia a pieno le mie intenzioni.

Potremmo definire la generazione Z come quella in cui le relazioni affettive si svincolano dagli schemi, ma al tempo stesso diventano più complicate da gestire. Rendono molto bene l’idea brani come “La Danza Dei Passi Falsi” e “Friendzone”. Ci racconti qualcosa di più di queste canzoni?

A volte ci penso: le relazioni “adulte” sono davvero così facili come sembrano da fuori? Era davvero meglio, una volta? I nostri nonni e le nostre nonne vivevano davvero relazioni da fiaba all’insegna della fedeltà più cieca, o non dicono la verità? Probabilmente il modo più coerente per affrontare qualsiasi relazione e smontare ogni ipotetica ipocrisia e complicazione è l’estrema onestà. Siamo fatti di carne, ma siamo animali sociali, e se siamo davanti la persona adatta, possiamo persino permetterci di essere tremendamente onesti.

Le canzoni di questo album raccontano alcune situazioni che ho avuto modo di affrontare negli anni: dalle relazioni in cui, ogni giorno, si teme possa crollare tutto da un momento all’altro in “La danza dei passi falsi”, fino alle cosiddette “Friendzone”, situazioni in cui non si riesce a definire in che situazione si è con l’altra parte coinvolta. Mettere in musica determinate situazioni (sentimentali e non) mi aiuta a fare pace con tanti stati d’animo e a capire come come comportarmi. Con “Friendzone”, scrivendola, ho riso un sacco, in quanto non è altro che la cronaca di un momento dalle venature tragicomiche che ho vissuto nel lontano aprile 2017. Mentre scrivevo “La danza dei passi falsi”, invece, ho lasciato andare qualche lacrima. Fa parte del processo di scrittura e sicuramente serve.

Per entrambi i primi due singoli “Mattino” e “Albero”, che hanno anticipato l’uscita del nuovo album, hai lanciato due videoclip che hanno come protagonista una ragazza sarda, Camilla Ciani. C’è un motivo ben preciso di questa scelta?

La mia etichetta, Bianca Dischi, ha base a Cagliari. Ci siamo conosciuti tramite Facebook e da lì abbiamo iniziato a lavorare insieme, inizialmente spostarci non era così pratico, dunque i ragazzi dell’etichetta, Fabio e Alberto, mi hanno presentato uno script per il video che raccontava esattamente ciò di cui avevo scritto. Sono contentissimo della scelta di Camilla e di come abbia interpretato a pieno ciò che ho scritto, in particolare per quanto riguarda “Albero”. Ha un’espressività davvero significativa.

Ci saranno degli altri videoclip?

Al momento stiamo lavorando al video di Bosco, in cui non apparirò. Sto iniziando a pensare allo script del singolo successivo in cui, finalmente, apparirò anche io. Solitamente cercare idee estetiche legate ai video non mi riesce facile: scrivendo dei brani molto basati sulla realtà temo che i video, se scritti da me, possano risultare un po’ troppo didascalici. Ammetto di aver avuto un’illuminazione, oggi, in treno, e che non mi piacerebbe sfruttarla.

Muovi i tuoi primi passi nel mondo della musica da gay dichiarato, in controtendenza rispetto a molti tuoi colleghi. Pensi che per chi sale su un palco sia importante fare coming out oppure che sia qualcosa di inutile e superato, come sostiene invece Mahmood?

Mahmood vive nel 3019 se pensa che il coming out sia superato, e spero un giorno arriveremo davvero ad avere reazioni indifferenti davanti a due ragazzi o due ragazze che si amano; tristemente, non siamo ancora a quel punto. Personalmente, ho fatto coming out a quattordici anni, letteralmente nel momento in cui ho capito di non essere esattamente eterosessuale. Per me, raccontarmi, non è stato un atto di coraggio, bensì di ingenuità: avevo conosciuto un determinato lato di me e non mi spaventava, perché avrebbe dovuto?

Il coming out è un momento significativo nella vita di ogni persona LGBT+, può farci sentire liberi come può dare vita, nei casi più sfortunati, a conseguenze di diverso tipo. Ora come non mai è necessario, poi ogni persona ha un vissuto soggettivo e qualcuno può scegliere di non dichiararsi, per le più svariate ragioni (e non lo si dovrebbe neanche punzecchiare a onor di gossip per tirare fuori questa informazione), ma deve essere chiaro che nessun coming out è inutile, che una persona sia sconosciuta o che sia popolare.

Non è stato il mio caso, ma immagino che il coming out di Tiziano Ferro, a suo tempo, abbia portato speranza e consapevolezza in tante persone, oltre al rendere ancor di più le questioni LGBT+ a conoscenza di tutti. Il vero punto d’arrivo lo avremo quando, a livello globale, ci sentiremo liberi di amare chiunque senza il bisogno di etichette, ma prima di arrivare un simile punto, ci aspetta un
percorso di decine di anni fatto di coming out (ne dobbiamo mangiare, di cereali sottomarca, prima che essi diventino inutili e superati), pride, sensibilizzazione, dialogo e decostruzione degli stereotipi sessuali e di genere.

Nei tuoi testi cerchi di adottare un linguaggio neutro, dove non fai riferimento preciso a un lui o una lei. È una scelta mirata o è del tutto casuale?

In realtà il linguaggio dei testi non è esattamente neutro. Ad esempio, in brani come “Friendzone” dico: “ma siamo solo amici, oh che meraviglia, ma non uno come te ci farei una famiglia” (è un verso che mi è ronzato per la testa molto frequentemente, in questi giorni post-convegno delirante). In generale, se si parla d’amore, i pronomi sono tutti al maschile. Magari per una questione di scrittura, non ce ne sono molti, ma se ci sono sono al maschile. Fuori dai contesti musicali, quando parlo, cerco di usare un linguaggio che, più che neutro, si presenta come inclusivo. Non è così difficile.

Se nella domanda precedente parlavo di un’indifferenza come di un punto d’arrivo, dal quale siamo ancora distanti, penso che anche il non fare caso ai problemi sarebbe un buon traguardo. Intendo dire: ci sono persone che, con una visione decisamente zotica, snobbano le mie canzoni perché sono “cose da gay” (giuro che è successo, anche se l’ho saputo da terzi), e tutto per via del mio orientamento o dei temi delle canzoni. Che dire: se qualcuno attua questa auto-eliminazione, ci guadagno solo io.

Da fan di Maria Antonietta sento molto la sua influenza nei tuoi testi, sebbene la tua musica si differisce per via delle sonorità più synth-pop, che riportano ad altri artisti, come Robyn, Cosmo, Colapesce… Musicalmente ti ispiri a questi cantanti? E a quali altri?

Innanzitutto grazie per aver trovato delle analogie con Maria Antonietta, mi onora. Sono suo fan da anni e il suo album omonimo è uno dei miei preferiti di sempre, per via della schiettezza con cui si è raccontata traccia dopo traccia. Seppure il genere sia un altro, spero di aver fatto un lavoro simile. Tra i cantanti che hai menzionato, Robyn c’è al 200%, mentre ho iniziato ad ascoltare Colapesce solo di recente e un paio di settimane fa non riuscivo a dormire, e nella mia testa risuonava “Maometto a Milano”. Quanto a Cosmo, sono innamorato del progetto di Ivreatronic in toto, dunque ho una grande stima anche di lui, ma non lo annovererei tra le mie ispirazioni.

C’è stato un periodo della mia vita, in tarda adolescenza, dove ascoltavo in loop Brunori Sas con i primi tre album e Maria Antonietta, c’era anche L’Orso (che ora si è trasformato in SPLENDORE e fa parte di Ivreatronic), i Tre Allegri Ragazzi Morti, Levante e Lo Stato Sociale, con una spruzzatina di De André a fare compagnia. Spero si senta l’ispirazione avuta da questo insieme di nuove leve cantautorali (o leggermente navigate che si vogliano considerare, De Andrè a parte). Sul fronte estero, oltre al fattore Robyn c’è un bel po’ dell’ultima era di Lorde, Melodrama.

Nel suo libro “Sette ragazze imperdonabili”, Maria Antonietta parla di sette donne del passato, da Emily Dickinson a Sylvia Plath, che ricorrono anche nelle sue canzoni e che con il loro coraggio le hanno dato la forza di ribellarsi a quello che la società si aspettava da una giovane ragazza. Ci sono dei ragazzi imperdonabili a cui unapersona LGBT può ispirarsi?

Il primo personaggio queer degno di nota con cui mi sono interfacciato è Harvey Milk, grazie all’interpretazione di Sean Penn nell’omonimo film. Durante il primo anno di liceo, quello fu il film che vedemmo durante il primo cineforum svolto in orario scolastico a cui io abbia mai assistito. Harvey Milk è stato il primo politico apertamente omosessuale ad ottenere una carica politica negli Stati Uniti. In una delle prime scene del film a lui dedicato, Harvey Milk incontra Scott Smith sulle scalinate della metropolitana, flirtano e si baciano. Alla vista di quel bacio, una sala piena di adolescenti è insorta tra fischi, battutine e insulti. Sicuramente più svegli di quel gregge di quattordicenni nel quale io osservavo la scena in silenzio, i rappresentanti d’Istituto hanno fermato la proiezione e hanno detto a tutta la sala: “questi ragazzi non stanno facendo nulla di diverso da ciò che fate voi in discoteca il sabato sera”. Silenzio e applausi. Il film è continuato, poi, senza intoppi. Milk era un instancabile attivista, un incredibile punto di riferimento per tutta la comunità LGBT+.

Se non fossero state una farsa e Julia (la mora) non avesse avuto determinate uscite non propriamente lgbt-friendly qualche anno fa, citerei anche le t.A.T.u., che nel 2002 (poco prima che compiessi 7 anni) hanno smosso non poco i media internazionali con la loro “All the things she said” e con i brani a venire.

Nel 2019, i ragazzi e le ragazze, le persone “imperdonabili” sono innumerevoli, da chi crea intrattenimento che apra la mente verso le tematiche del caso, fino a chi combatte per le parità nel mondo o scappa da lapidazioni e disuguaglianze.

Quali sono i tuoi più grandi sogni e quali i tuoi prossimi progetti?

Non posso dire di avere un sogno vero e proprio, se non vivere un momento, un periodo, il più lungo possibile in cui è tutto al suo posto e io sono sereno, realizzato quanto basta, innamorato, circondato dalle persone a cui tengo ed essendo in pace con la mia musica. Quanto agli eventi a venire: presto uscirà il video di “Bosco” e seguiranno altri singoli, ci sarà un tour estivo e una data abbastanza imminente: quella all’Ostello Bello Grande di Milano il 18 aprile, dalle ore 20.00.

 

Pagina Facebook di Nicola Lombardo: https://www.facebook.com/pg/NicolaLombard0

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *