«Il mio Pride si è concluso alle 4 del mattino del 4 agosto, quando sono tornato a casa in taxi. Sono sopravvissuto all’abominevole detenzione illegale in Piazza, a San Pietroburgo, alle torture su un bus della polizia, dove hanno spruzzato gas sui detenuti, senza acqua e senza poter andare in bagno». Inizia con queste parole la testimonianza di Aleksei Nazarov, un uomo che era andato al Pride di San Pietroburgo insieme a un’altra cinquantina di attivisti che si sono opposti al divieto di manifestare.
«Mi hanno fermato alle 17:40, sono arrivato al dipartimento di polizia alle 21:10, dove ho trascorso più di tre ore. Sono sopravvissuto al pestaggio di un mio amico in quello stesso bus da parte dei poliziotti – continua Aleksei Nazarov in un post su Facebook – Manganellate sulla testa, sullo stomaco, sulla schiena, ammanettati. Sono sopravvissuto alla detenzione illegale dei miei amici e conoscenti».
Le forze dell’ordine hanno riservato questo trattamento a chiunque fosse in strada a esibire semplicemente uno striscione o una bandiera arcobaleno, per via della famosa legge anti-propaganda LGBT in vigore in Russia.
Nel Paese sovietico il clima è più che mai ostile per le persone LGBT. Pochi giorni fa l’attivista Yelena Grigoriyeva è stata strangolata, mentre altre decine di persone che lottano per i diritti delle persone LGBT sono state inserite in una black-list da un sito omofobo, dando vita a una vera e propria persecuzione.
Sempre a proposito di Russia, poche ore prima dell’azione delle forze dell’ordine contro i manifestanti del Pride di San Pietroburgo, il viceministro Matteo Salvini – che non ha mai nascosto la propria stima per Putin e le sue politiche – si rifiutava di rispondere al giornalista Giorgio Mottola riguardo lo scandalo che ha travolto la Lega e per cui è aperta un’inchiesta per corruzione internazionale. Se il primo partito in Italia vuole seguire l’esempio degli amici russi e gli elettori continueranno a dare la propria incondizionata fiducia a questi personaggi, ci aspettano tempi molto duri.
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