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Il Regno delle Due Sicilie era un passo avanti contro l’omofobia e la misoginia

In un momento storico come quello che stiamo vivendo in cui si discute sulla necessità o meno di tutelare una parte della popolazione del nostro Paese dalla discriminazione legata all’orientamento sessuale e all’identità di genere, è bene ricordare che c’é stato un momento in cui le cose andavano molto diversamente.

No, senza dover guardare troppo indietro alle abitudini sessuali di Greci e Romani; la storia del Mezzogiorno italiano ottocentesco ci parla non solo di una cultura molto più tollerante, ma anche di un ordinamento giuridico molto piu elastico ed aperto al rispetto della differenza. Infatti, il codice penale del Regno delle Due Sicilie, quello che dal 1819 rimase in vigore fino al crollo dello Stato, non puniva l’omossessualità, né la sodomia.

Nel codice firmato da Ferdinando I di Borbone, infatti, al titolo VII si parla: «De’ reati che attaccano l’ordine delle famiglie», senza alcun cenno a reati di sodomia. Inoltre, nel codice si fa specifico riferimento allo stupro violento «sopra individui dell’uno e dell’altro sesso»; punendo, di fatto, con la reclusione atti violenti praticati su donne e uomini indistintamente.

Numerose, però, erano le differenze culturali e politiche che attraversavano la nostra penisola in quel periodo storico. Infatti, il codice penale del Regno sabaudo parlava all’articolo 425 di «atti di libidine contro natura» in riferimento all’omosessualità.

A seguito dell’Unità d’Italia, nel 1861, si pose il problema di estendere lo statuto piemontese a tutto il territorio italico e al Sud ci furono opposizioni. Il quarto governo luogotenenziale a Napoli costituì una commissione nel febbraio 1861. Nel tentativo di armonizzare il codice napoletano del 1819 con quello torinese del 1859, si decise che sull’omosessualità avrebbe prevalso nei territori del Sud l’orientamento di tolleranza del codice firmato da Ferdinando I di Borbone. Tuttavia, il dibattito continuò negli anni successivi e con l’aumentare dell’accentramento di potere su Torino prevalse non solo l’ordinamento giuridico sabaudo, ma anche quella impostazione culturale.