Alcune domande scomode a Pier Paolo Catacchio, Il Gay Più Bello d’Italia 2021

Il ciclone che lo scorso anno si è abbattuto sul concorso de Il Gay Più Bello d’Italia, con polemiche sulle dichiarazioni del vincitore e sulla necessità di un format ritenuto obsoleto da una fetta della comunità LGBT+ italiana, non ha fermato gli organizzatori, che hanno assegnato la nuova fascia a Pier Paolo Catacchio, 29enne torinese unito civilmente da 4 anni con Fernando, 28enne di origini brasiliane con cui condivide la passione per i viaggi e la palestra.

Moro, barbuto e muscoloso, dal punto di vista estetico il nuovo mister non rappresenta un simbolo di rottura rispetto agli scorsi vincitori. Abbiamo deciso di intervistarlo per capire se, tuttavia, porterà una ventata di freschezza per quanto riguarda gli ideali e i progetti di vita, indagando sulle sue posizioni sulle questioni più spinose, dal Pride alla rappresentazione dell’uomo gay in contest come quello che lo ha incoronato lo scorso sabato al MamaBeach di Torre del Lago.

Ben trovato Pier Paolo, innanzitutto congratulazioni. Come prima cosa ti chiederei come mai hai deciso di partecipare a questo contest e cosa rappresenta per te la tua vittoria.
Grazie mille! Come ho detto durante la finale uno dei motivi principali che mi ha spinto a partecipare è stata la triste vicenda di Orlando Merenda, un mio concittadino di 18 anni che si è tolto la vita a giugno a poca distanza da casa mia a causa di atti di bullismo omofobi. Questa storia mi ha fatto molto riflettere perché mentre io stavo vivendo la “vita dei miei sogni” con un marito, una casa, un cane e soprattutto libero dai giudizi altrui, poco distante da me c’era un ragazzo che stava soffrendo e passando quello che ho passato anche io alla sua età. Avrei voluto fargli vedere come tutto questo può passare e che anche per lui avrebbe potuto esserci un lieto fine. Magari vedendo il mio quotidiano avrebbe potuto sentirsi ispirato a non gettare via tutto. La mia vittoria quindi vorrei rappresentasse proprio questo, una speranza per tutti quei giovanissimi gay che si sentono sbagliati, non capiti, soli o senza via d’uscita.

Perché pensi di essere stato scelto per questa fascia storica dalla giuria? Pensi abbiano giudicato altro oltre all’aspetto fisico, che sicuramente rispecchia il prototipo di tanti ragazzi gay italiani?
Credo che la mia storia abbia aiutato molto. Sono sempre stato molto testardo e fin da piccolo quando mi mettevo una cosa in testa facevo di tutto pur di raggiungerla. Lo stesso è stato riguardo il mio percorso di coming out, non facile, e alla mia decisione di sposarmi così giovane. Ho dovuto farmi forza e la spalla di mio marito è stata fondamentale per superare etichette e giudizi che più volte mi hanno fatto pensare di lasciar perdere su ogni fronte. Penso quindi che siano stati apprezzati la felicità e l’orgoglio che ho portato su quella passerella quando parlavo della famiglia che io e Nando abbiamo costruito con tanta fatica.

Orgoglio come quello del Pride, come suggerisce la parola stessa. Lo scorso anno il tuo predecessore fu contestato per alcune dichiarazioni critiche nei confronti delle modalità del Pride: qual è il tuo punto di vista nei confronti di questa manifestazione e del modo in cui viene svolta?
Questo sicuramente è un tema delicato. La battaglia per la parità di diritti credo sia ancora distante dall’essere vinta, basti guardare come si stia rendendo difficile disincagliare il DDL Zan, ormai diventato un pretesto per farsi guerra tra partiti. Io credo che più che l’organizzazione del Pride in sé, il “problema” sia la reale motivazione per la quale molti [ragazzi] gay vi prendono parte. Io non mi sento tuttavia di giudicare nessuno quindi se una persona partecipa al Pride per far realmente valere i suoi diritti oppure per se vi prende parte per avere un pretesto per viaggiare e conoscere altri ragazzi poco cambia. Mai come oggi credo sia importante il “purché se ne parli”. L’invito però è comunque quello di ricordare che il Pride rappresenta l’occasione più importante dell’anno per far sentire la voce della comunità LGBT.

Altre polemiche, che si rinnovano ogni anno, sono sulla necessità di un concorso come Il Gay Più Bello d’Italia. Principalmente le critiche sono sull’aspetto stereotipato e “macho” dei concorrenti, a cui gli organizzatori hanno in passato risposto che i ragazzi che si discostano da questo stereotipo non si iscrivono. Secondo te perché non ci sono, ad esempio, ragazzi twink, bear, queer o qualsiasi altra forma di diversità tra i candidati?
In primo luogo credo che molto spesso si tenda a dover per forza rendere “troppo impegnato” ogni aspetto della vita quando invece penso che anche leggerezza e divertimento siano sfumature fondamentali per essere felici. Ogni anno ci sono polemiche riguardanti la dubbia supremazia estetica del vincitore rispetto a tanti altri bei ragazzi che non partecipano. Come ha giustamente precisato La Wanda Gastrica durante la finale di sabato Il Gay Più Bello d’Italia viene eletto tra quelli che si iscrivono su loro libera scelta. È indubbio quindi che in giro per l’Italia ci siano altri ragazzi gay più belli o più intelligenti del vincitore ma il concorso, pur essendo aperto a tutti, dà il titolo a uno dei partecipanti, quindi il titolo va contestualizzato. Siamo, inoltre, tutte persone con gusti diversi quindi trovare un candidato che soddisfi il mondo gay nella sua interezza è un’utopia e come tale va compresa ed accettata. Riguardo la “diversità” dei candidati credo che ancora una volta siamo proprio noi gay a darci etichette che servono a poco. Con questa domanda entriamo in quella che secondo me è la parte meno impegnata del concorso, perché è vero che la bellezza è soggettiva, ma è anche vero che da che mondo è mondo le mode seguono dei cicli. Avessi partecipato al concorso nel 2005 probabilmente non mi avrebbero nemmeno preso perché la barba incolta come la mia non era di moda. Non significa che bisogna stereotiparsi, ma semplicemente capire che essendo un concorso di bellezza è inevitabile che si seguano anche mode e costumi del periodo. Quest’anno tra l’altro ho visto molta diversità tra i concorrenti, basti guardare al podio, dove c’ero io grosso barbuto e peloso, il secondo classificato più vicino al mondo queer e il terzo classificato più minuto, definitissimo e senza un pelo sul corpo.

Devo ammettere che, dalle immagini sui social, faccio fatica a cogliere la queerness di cui parli, ma approfondirò. Infine ti chiedo se ci sarà uno “sfondatour”! Scherzi a parte, cosa fai nella vita e cambierà qualcosa dopo questa vittoria?
Nonostante una laurea in lingue orientali faccio da tempo l’agente immobiliare. Ho lavorato per anni in un grande gruppo dove ho fatto carriera e sono arrivato ad essere Sales Manager di uno dei 27 uffici di rete diretta che hanno in giro per l’Italia. Poi però ho deciso di mettermi in proprio e ora svolgo l’attività da freelance. Questo mi porta ad avere più tempo libero e guadagni più alti in percentuale. In realtà con mio marito stiamo cercando di portare a termine alcuni investimenti, sempre nell’ambito immobiliare, che speriamo ci diano una tranquillità economica tale da poter realizzare due progetti che ci stanno molto a cuore. Il primo è la creazione di un’associazione per giovanissimi gay con bisogno di sportelli di ascolto o di supporto psicologico per affrontare momenti critici legati al coming out o a situazioni di bullismo. L’altro riguarda il Paese di origine di mio marito, il Brasile, dove vorremmo creare un’organizzazione per combattere la fame dei bambini delle favelas di Rio. Non credo ci saranno grandi cambiamenti, anche se indubbiamente cercherò di sfruttare questo anno per dare visibilità alle mie idee e alla mia persona, sperando possa essere un buon rappresentante e un buon esempio per il mondo LGBT.

 

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