Foto: Giosuè e Franco Prezioso

Josh & Franco: padre e figlio si scoprono gay e lo raccontano in un podcast

Quando ho saputo della storia di due uomini di Ostuni, padre e figlio, entrambi gay ho pensato quanto sarebbe stato facile fare coming out nei panni del secondo. Ho invidiato la comprensione di un padre che ha vissuto le tue stesse sensazioni sulla propria pelle. Ho pensato a quanto sia più facile la vita di un adolescente che non deve spiegare a un genitore ciò che per entrambi è la cosa più naturale del mondo. Poi ho ascoltato “Josh & Franco”, la prima puntata del podcast del progetto internazionale The Europeans, in cui questi due uomini hanno raccontato il loro vissuto. E ho dovuto ricredermi, oltre che emozionarmi.

La storia di Giosuè Prezioso – che ha “inglesizzato” il proprio nome in Josh con il suo trasferimento all’estero – e suo padre ha un lieto fine, quello di due persone che si sono ritrovate. Ma il percorso per arrivare all’orgoglio e alla consapevolezza di oggi è stato pieno di ostacoli, tra cui quello dell’omofobia interiorizzata con cui entrambi hanno dovuto fare i conti. «Oggi siamo qui a raccontarvi le nostre storie – esordisce Giosuè con la voce rassicurante di chi sembra nato per condurre un podcast – Mentre oggi possiamo farlo apertamente, non è sempre stato così. È stato un viaggio per entrambi. E lo si avverte nelle nostre voci, che a volte diventano blasfeme, spurie, volgari».

Si tratta infatti del viaggio, genuino e per niente borghese, di chi ha dovuto accettare se stesso vedendolo riflesso in un familiare. Franco, sebbene sappia di essere omosessuale – e sebbene ne sia al corrente la cittadina pugliese in cui è cresciuto -, trova una donna, una «santa», che decide di sposarlo e farci dei figli. Il secondogenito dà chiari segnali della propria identità sessuale fin dall’età di due o tre anni; un frutto del caso o della genetica che desta all’uomo forti preoccupazioni in virtù del pregiudizio della gente, che aveva avuto modo di conoscere bene. «Mio padre realizzò in fretta che c’erano delle somiglianze preoccupanti fra noi» rivela Giosuè, confidando che anch’egli aveva intuito, crescendo, che la sua famiglia non era esattamente come quelle dei suoi coetanei: «Forte di mio padre, avevo capito cosa evitare. Le movenze, per esempio, ero molto auto-omofobo. Giocavo a calcio anche se lo odiavo, dovevo far finta che mi piacesse per integrarmi».

A segnare una svolta in questa vicenda è la decisione di Franco di aprire un ristorante, chiamato eloquentemente La Locanda dei Sette Peccati. Sono gli anni ’80 e diventa in poco tempo uno dei primi punti di ritrovo della zona per uomini alla ricerca di momenti di piacere carnale con altri uomini, grazie a una saletta che garantiva la giusta riservatezza. Arrivano poi gli anni ’90, e quindi la connessione internet nella casa dei Prezioso, che consente all’allora adolescente Giosuè di scoprire cosa avveniva nel ristorante di famiglia. La sua prima reazione non è esattamente in linea con quella che è la sua considerazione di oggi, quando confida di essere grato a suo padre per quello che ha fatto per la comunità LGBT+ locale. Pur ammettendo che, in un certo senso, la persona più “queer” della famiglia è tuttavia sua madre.

Dietro il podcast

Abbiamo conosciuto Giosuè, che ci ha spiegato com’è stata concepita l’idea di questo racconto-confessione a due voci con suo padre e cos’è avvenuto prima, durante e dopo. «Il progetto nasce da un annuncio: “Alla ricerca di storie dalla periferia del continente (europeo)”; storie di nuove generazioni che narrano i disagi, le risorse e i riscatti di quest’area grande, che però si conosce poco – ci spiega – Quelle parole in fila ‘storie-generazioni-periferia’ mi hanno fanno scattare il famoso ‘click’. Chiamo mio padre e glielo propongo. Lui accetta. Dunque, io dal Cairo (dove vivevo) e lui da Ostuni, decidiamo di telefonarci in maniera estemporanea, raccogliendo in un solo minuto (quanto richiesto) il nocciolo della nostra storia: padre e figlio omosessuale».

Giosuè e Franco avevano avvertito «l’urgenza» del proprio contributo, in assenza di narrative similari, non pensando tuttavia che la loro proposta sarebbe stata selezionata tra tutte quelle provenienti da ben 27 Paesi. «La giuria ci contatta tempestivamente – ci rivela Giosuè – si accerta che la storia sia vera e nonostante quella comunicazione ci tiene a sottolineare che le domande sono numerosissime e la competitività delle storie alta. A breve riceviamo la notizia: non solo veniamo selezionati fra le (uniche) otto storie in tutto il continente, siamo anche i primi e di apertura della serie». Non mancano, naturalmente, alcuni timori. «Il più grande – ci confida – è stato sicuramente quello di sentire la responsabilità di rappresentare una comunità aniconica, che non esiste nelle immagini, nei racconti, nelle rappresentazioni… Esserne la sineddoche (cosciente) è stato il nostro più grande timore».

La grande assente tra le voci narranti è certamente la madre, che ha preferito guardare da lontano. «È una persona molto riservata e timida – ci spiega il figlio – e credo riservi ancora molto inettitudine nell’affrontare il tema. La proiezione con lei è stata infatti per me la più nodosa e difficile». È stato caloroso il supporto degli amici e dei concittadini, che hanno appreso della notizia sui social, ma anche da prestigiose testate come La Repubblica, l’HuffPost e, all’estero, il Financial Times. «Nonostante la gente non avesse ascoltato il podcast – afferma Giosuè – in moltissimi, dal supermercato, al passeggio, ci fermavano con un sorriso di orgoglio per congratularsi. Non sapevano approfonditamente di cosa si trattasse, né, di nuovo, l’avevano visto, ma il tutto ha generato un senso di fiducia cieca e ‘a prescindere’ che mi ha fatto visualizzare quanto si sia passati dalla condanna e il giudizio (il passato) alla fiducia e stima (oggi)».

Morale della favola

Al di là del proprio orientamento sessuale, “Josh & Franco” sono trenta minuti in cui ognuno può riconsiderare il rapporto con i propri familiari e riscoprire anche se stesso. Per chiudere al meglio il cerchio, abbiamo chiesto a Giosuè, arricchito delle consapevolezze di chi ha un passato come il suo, cosa direbbe a un padre che nutre dei dubbi sulla sessualità del figlio, o viceversa. «Giocare di empatia – è la sua risposta – Sono sicuro che se il padre provasse a fare mente locale e si ricordasse della sua giovane età, potrà ricordarsi che anche lui, una volta, probabilmente delle domande se le poneva: “Mi piace questo?”, “Con chi mi vedo in futuro?”, “Come sarebbe se…”. Altrettanto potrebbe fare un figlio».

«Le narrative sui genitori ci costruiscono ideali secondo cui mamma e papà sono perfetti, ci portano a fare sport, sorridono, ci portano fuori e crescono talenti – aggiunge – Quelli sono genitori idealizzati, che non vediamo nel backstage. Dobbiamo dunque leggere criticamente quelle aspettative e perdonare i genitori se non hanno i soldi, il talento e/o la preparazione per poter accogliere le nostre fasi, realizzazioni, orientamenti… Reciproca empatia e perdono. Perdono se non siamo quei figli e/o genitori che non esistono, se non dietro ad una macchina da presa».