Tinder, abbiamo un problema (di genere)
Qual è l’attenzione che pongono i social network, e in particolare quelli di dating come Tinder, nella tutela delle persone trans o non binarie? Capita spesso di leggere notizie in cui si parla dell’inserimento di opzioni aggiuntive, per quanto riguarda l’identità di genere, al momento dell’iscrizione.
La possibilità degli utenti di autodefinirsi e scegliere il pronome che più aggrada loro, non è però sufficiente. Capita spesso, ad esempio, che persone transgender o genderqueer vengano segnalate in massa sui social da utenti omotrasfobici e, in assenza di un appropriato controllo, vengano bannate.
L’ultimo episodio viene raccontato da un utente non binario bannato da Tinder, Stevie Love, al The Independent: «Avevo quattro foto ed erano tutte mie. In una o due di queste ero più truccat* e probabilmente sarò passat* più come femmina. Negli altri due, non ero ancora truccat*, ma ero ancora in abbigliamento femminile. Erano tutte chiaramente la stessa persona». A nulla è servito scrivere a Tinder e spiegare il proprio genere, come succede spesso in questi casi, Stevie non è stato degnato di una risposta e il suo account risulta ancora bannato.
C’è poi il caso di Facebook, che in seguito a delle segnalazioni come “nome falso” o “account falso” chiede alle persone – incluese quelle in transizione – di dimostrarne la veridicità con un documento che, a seconda delle leggi del Paese in cui vive, potrebbe essere quello di nascita (e l’Italia è uno di questi). L’utente trans si trova così di fronte a un bivio: il ban dal social network o l’umiliazione del deadnaming.
L’esperienza delle persone trans non è già delle migliori, ma se i social network decidono di ricorrere ad algoritmi non adeguati per contrastare questo fenomeno, si rendono complici di una discriminazione. Sarà il caso di non farne solo una questione di business e tutelare i propri utenti?
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