«Sostieni tu* figli* trans prima che sia troppo tardi»

È da poco terminata la Giornata internazionale della visibilità Transgender, la ricorrenza annuale che ogni 31 marzo viene celebrata al fine di sensibilizzazione contro le discriminazioni verso le persone transgender.

C’è chi si pone questo obiettivo tutto l’anno, facendo attivismo tramite l’informazione e offrendo la propria testimonianza di persona transgender. Una di queste persone è Storm, 46enne residente a Prato, cui ha dato vita al progetto Trans Media Watch Italia, un osservatorio dei media a tema transgender, non-binary e gender creative.

Con un passato familiare che, per usare un eufemismo, non è dei migliori e una grande preparazione sul tema del transgenderismo, Storm riesce in questa intervista a darci una visione a 360 gradi di cosa significa nel 2020 essere una persona trans e in quale direzione occorre muoversi per una piena consapevolezza delle persone T*, dei loro genitori e della società.

Se si considera che il suicidio è la seconda principale causa di morte fra i giovani nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni, e che le persone LGBT+ sono una delle categorie più a rischio, tale consapevolezza non può attendere. Ed è il messaggio della nuova campagna di TMW Italia, che andiamo a conoscere meglio passando prima per l’esperienza personale di Storm.

Storm all’interno di uno dei banner della nuova campagna di Trans Media Watch Italia

L’intervista

Iniziamo parlando un po’ di te. Chi segue il tuo sito sa che sei una persona transgender e che lo vivi, come è giusto che sia, alla luce del sole. Ma come e quando hai capito la tua vera identità di genere?

I ruoli di genere li ho sempre sentiti stretti, non mi sentivo bambina prima e donna dopo perché i modi in cui limitiamo la vita e le possibilità di educazione e di carriera delle donne, soprattutto in Italia, è rivoltante.

Il seno è sempre stato una parte aliena ed estranea a me: a 12 anni, quando è spuntato, sono stat* malissimo. Il fatto che non mi senta nemmeno un uomo mi ha reso difficile intraprendere un percorso di transizione. Fingere per fingere ho pensato che tanto valesse fingere di essere donna in modo goffo e limitato come avevo fatto fino a quel momento.

La certezza di non essere una donna è arrivata a gennaio 2014: facevo su e giù dal Regno Unito perché studiavo part-time e lavoravo a Londra. All’università, facevo parte di gruppi femministi e LGBT+ e sentivo parlare di identità non binarie dal 2010. Alcune delle persone che ho conosciuto in questi gruppi hanno poi cominciato a definirsi non-binary.

A gennaio mi capitò di rivolgermi ad una counsellor per questioni che non avevano nulla a che vedere con l’identità. Era un periodo in cui ero euforic* perché stavo scrivendo la tesi di laurea su un soggetto per me molto interessante: i peli. Stavo mettendo io stess* in discussione il bisogno di “fare il genere”, come lo chiama Judith Butler, facendomi i peli d’estate e non mi stupisce affatto che la certezza sia emersa in questo periodo. La mia domanda di ricerca era una domanda che rivolgevo prima di tutto a me stess* sulla necessità di continuare a fingere di essere donna.

Parlandone con la counsellor emerse spontaneamente che non mi sentivo donna e che non sentivo mio il nome legale per diversi motivi. L’ho cambiato e ho cominciato a chiedere a tutt* di chiamarmi Storm. Ma non è stato fino ad ottobre 2015 che ho “osato” definirmi transgender perché era un passo importante, una sorta di non-ritorno.

Parli di te in prima persona usando l’asterisco, dunque non hai un genere prevalente?

Genere è una parola che di questi tempi crea tanti malintesi. A mio avviso viene spesso confusa l’identità politica, che deriva dalla relazione tra la persona e il ruolo di genere (ossia le aspettative che la società ha in base a come si racconta chi la abita), con l’auto-percezione, ovvero l’identità di genere.

Io sono una persona transgender non-binaria. Transgender perché non mi identifico nel sesso assegnato alla nascita, non-binary perché sia il sesso che il genere sono spettri, non sono binari. Nello specifico, visto che non-binary è un termine ombrello, mi identifico come agender o neutrois. La mia identità è vuota perché non è definibile in base a come mi vesto, agli ormoni che sono predominanti nel mio corpo, ai genitali, a come vengo percepit*, perché tutte queste cose sono esteriori e non mi definiscono. Neutra perché sono oggettivamente una persona androgina: avevo un bisogno estremo di fare la mastectomia, ma non ho bisogno di prendere ormoni, anche se mi riservo la possibilità di prenderli in futuro. Non ho problemi con l’apparenza dei genitali (forse perché non sono una parte visibile del corpo). Ho un corpo che è un ibrido tra maschile e femminile e mi piaccio moltissimo così. Ogni volta che mi guardo allo specchio provo un’euforia meravigliosa.

La mia identità politica, che deriva dalla relazione che ho con i ruoli di genere, è non-binaria e femminista. Derivano dal processo di feedback con la società e il periodo storico con il quale il mio “io” si è scontrato.

Quali sono le motivazioni che ti hanno portat* a dar vita a un sito a tema trans? 

Volevo creare un sito specialistico non perché credo che le istanze trans siano distanti dalle altre oppressioni LGBI, anche se presentano delle specificità, ma perché credo che se ne parli poco, ci sia tanta confusione e non ci sia una rappresentazione ampia di tutte le sfaccettature nel bene e nel male.

L’evento che mi ha fatto compiere il passo finale è stato vedere come veniva raccontato lo stupro di Rimini facendo una netta distinzione tra la donna polacca e la donna trans (che poi è stata quella che ha dato le indicazioni più precise per arrestare i colpevoli).

Qual è il tuo pubblico di riferimento?

Il target cambia e dipende da quello che scrivo: se non posso arrivare ai giornalisti, arrivo a una fetta di pubblico per “vaccinarlo” contro le dolorose e inaccurate distorsioni che vengono propinate per creare pregiudizio e violenza. Sto sponsorizzando alcuni post su Facebook in cui il target sono le persone cattoliche e ho degli ottimi riscontri perché la fede è diversa dalla dottrina. Chi ha fede, una volta capite le conseguenze di reprimerci, reagisce con empatia. Chi si basa solo sulla dottrina invece rimane rigido nell’intento di oppressione.

Cosa pensi riguardo il misgendering presente in modo allarmante su numerosi articoli di giornale?

Il misgendering è una forma di umiliazione e di attacco alla dignità della persona trans e della sua esperienza. Chiamando una donna trans al maschile, un uomo trans al femminile e una persona non binaria con desinenze, articoli, pronomi che non l* rappresentano, si disconosce tutto il suo vissuto, la violenza che ha dovuto subire, gli ostacoli che ha dovuto superare per arrivare ad essere e ad affermarsi per chi è. Il misgendering riporta la persona trans ad uno stadio infantile in cui viene sopradeterminat* e non ha potere.

Quello di eliminare almeno il misgendering e il deadname (nome alla nascita) dovrebbe essere il primissimo impegno per ogni testata.

Sei a favore del trattamento di sospensione della pubertà?

Sono assolutamente a favore dei bloccanti ipotalamici. Gli studi condotti negli Stati Uniti indicano all’unanimità che chi li richiede ne trae solo beneficio e che gli effetti collaterali con i quali una fetta di psichiatri e psicologi cercano di spaventare i genitori, non trovano riscontro nell’esperienza clinica.

C’è una fetta della psicologia e della psichiatria che dagli anni ’50 si preoccupa più dei timori dei genitori transfobici che della vita dei ragazzi trans. E che lo fa scoraggiando la persona trans a dirsi trans. È delirante pensare che reprimere qualcun* non abbia conseguenze sulla sua salute mentale. Ascoltate le testimonianze di chi ha subito le “terapie” riparative, si è compreso che erano deleterie per la salute. In molti stati stanno cominciando a renderle illegali. Spero che ci si arrivi anche qui, quanto prima. Sarà dura con il Vaticano in casa ma è assolutamente necessario.

Tornando ai bloccanti, vengono sperimentati da oltre 30 anni per quanto riguarda l’incongruenza di genere e vengono usati regolarmente su bambini dagli 8 anni in su nei casi di pubertà precoce. Le “preoccupazioni” sono evidentemente pressioni politiche per scoraggiarne l’uso e sono sorte solo quando si è trattato di proporli come cura per chi è teen-ager e trans. La cosa curiosa è che chi si preoccupa così tanto dei bloccanti, non sembra preoccuparsi altrettanto delle chirurgie (e delle relative complicazioni e costi) alle quali si deve sottoporre chi non può accedere ai bloccanti. Con questi ultimi, infatti, si possono evitare fino a 5 chirurgie.

Personalmente, tu hai avuto modo di ricorrere ai bloccanti ipotalamici? 

Io non ho avuto modo di provarli, ai miei tempi non esistevano in Italia e i miei genitori non mi avrebbero comunque fatto accedere, visto che hanno cercato di cambiarmi in ogni modo, probabilmente su consiglio del medico. Se fosse dipeso solo da me, li avrei presi ben volentieri e a mio avviso mi avrebbero aiutato molto. La pubertà è stata un periodo terribile che mi ha causato molta sofferenza. Vedere il tuo corpo che cambia e non sentirsi impotente di fronte a questi cambiamenti mi avrebbe dato speranza.

Ci sono stati dei momenti in cui sia te stess* che chi ti circondava avrebbe voluto che tu nascessi del sesso opposto, o semplicemente che tu ti identificassi con un altro genere?

Premetto che per me non esiste un “sesso opposto”. Il sesso è uno spettro come il genere, le persone intersex esistono. Il sesso è binario solo se ci riferiamo alla riproduzione nel senso che occorrono un ovulo, lo sperma e un utero per concepire una vita.

Comunque, no, chi mi circondava voleva in maniera estremamente insistente che mi identificassi come bambina e come donna perché da questo dipendeva la loro rispettabilità e tenevano più a quella che a me.

Ci sono stati momenti in cui qualcun* si è accort* che non ero propriamente in linea con il ruolo di genere “bambina” e non avendo altro linguaggio per definire la cosa mi ha definito con un opposto. La mia nonna paterna, per esempio, mi chiamava talvolta il suo “ometto” anche se avevo i capelli lunghi. C’è stato chi mi ha definito “maschiaccio”, ma non me la prendevo perché per me essere maschio non era un’offesa e perché lo facevano per scoraggiarmi dal giocare a calcio, che a me dava gioia e senso di libertà.

Hai mai vissuto dei momenti difficili legati all’accettazione del tuo transgenderismo?

Il difficile è stato ed è tuttora far capire, soprattutto alla comunità trans e ai professionisti, che non è un capriccio definirsi non-binary piuttosto che FtM. L’identità di genere non-binary è al massimo FtX, non FtM. Chi dice di essere FtM e non-binary si riferisce all’identità politica, non all’identità di genere.

Ho reso difficile la vita ad altre persone trans perché ho passato una fase transfobic*. Ai tempi delle mailing list esisteva la Lista Lesbica Italiana alla quale si erano iscritte, giustamente, anche donne trans lesbiche. Purtroppo, fui tra chi chiese loro di uscire. Chiedo profondamente scusa a tutte le interessate.

Quel periodo mi imbarazza tantissimo, ma è inutile negarlo. L’importante è imparare dai propri errori.
La transfobia interiorizzata non è una cosa da poco. Se non la si analizza e la si riconosce, si finisce per proiettarla. Lo dico anche per le femministe che vogliono oggi escludere le donne trans dal femminismo: potrebbe essere una fase, se ne può uscire.

Come sono attualmente i rapporti tra te e tuoi genitori?

Non esistenti. Purtroppo, non hanno contatto con la realtà e si fanno manipolare molto facilmente da persone senza scrupoli. Basta incolpare me di qualunque cosa per accattivarseli o regalare loro dieci volte tanto quello che ti danno e te li fai amici. Non capiscono le conseguenze di quello che fanno e non hanno empatia nei miei confronti perché non mi hanno mai voluto.

Mia madre voleva studiare e invece ha fatto me. La frustrazione di non aver potuto fare quello che voleva è alla radice dell’abuso nei miei confronti. Mio padre non ha mai fatto il padre, era troppo preso ad evitare qualsiasi responsabilità genitoriale che non fosse portare lo stipendio a casa. Io non lo riguardavo.

Hanno tre case e a luglio quando mi sono ritrovat* homeless non mi hanno nemmeno risposto al messaggio in cui glielo comunicavo. Mi raccontano come un* figli* che si vuole approfittare di loro. Non hanno idea di chi si è approfittato di loro, usandoli per motivi politici per opprimere me. Da una parte mi dispiace, ma dall’altra sono anche stuf* di essere il loro capro espiatorio. Mio padre ha avuto un infarto e non sono andat* a trovarlo in ospedale perché di sicuro avrebbe dato la colpa a me anche di quello. Che facciano quello che vogliono. Io ho smesso di occuparmi e di preoccuparmi di loro. Per me sono morti.

Mi piacerebbe che tu mi raccontassi come tua nonna ti avesse capit* e accettat* prima di tutti. Leggendo alcuni tweet in cui parli di lei, mi ha molto colpito la sua apertura mentale, nonostante appartenesse a una generazione notoriamente tradizionalista.

Entrambe le mie nonne sono state persone molto comprensive ognuna in modi diversi. C’è un episodio divertente da raccontare della nonna materna. Un giorno, mi venne a chiedere perché mi drogavo, a me che non ho mai neanche fumato una canna. Per cui, parlando, venne fuori che aveva visto mia madre sconvolta e non aveva capito perché. Le spiegai che era sconvolta perché le avevo detto che ero lesbica e rassicurai la nonna che la droga non c’entrava. Mi rispose, incredula: “Tutto qui? O come mai la la fa tanto lunga?”, e poi aggiunse: “Mi dispiace per i nipotini ma l’importante è che stai bene te. Quando mi presenti le tue amiche? Invitale qui, si fa le lasagne”. Fine. Stessa cosa mio nonno materno. Quando stava male in ospedale, andammo a trovare la nonna con la mia ex-compagna. Ci disse: “Oh, come stavate bene insieme”. Non fingeva di essere aperta, lo era davvero. La loro generazione era tutt’altro che tradizionalista, il tradizionalismo si trova forse nelle classi più abbienti e nelle generazioni successive come quella di mia madre, ma loro erano della classe operaia.

Mia nonna paterna era anche orfana. Lei era una persona “pura”, non trovo altro aggettivo per descriverla. Mai una malizia, una cattiveria. Pur non avendo gli strumenti perché, credo, che non avesse nemmeno fatto le elementari, è stata l’unica che ha dato voce in maniera tenera e non critica a quella non-conformità che tutti avevano sotto gli occhi.

In occasione del Transgender Day of Visibility 2020 hai lanciato una nuova campagna a sostegno dei bambini e pre-adolescenti transgender…

È una campagna per combattere principalmente l’abuso minorile (ma non solo) e prevenire il suicidio. Sui media, spesso, le nostre foto prima e dopo la transizione vengono postate per dimostrare che non siamo veramente chi diciamo di essere e riportarci, come col misgendering, ad una fase in non c’era il passing. Ho usato ironicamente la stessa tecnica per portare consapevolezza sugli abusi che dobbiamo subire perché non veniamo riconosciute e accettate come persone trans fin da piccole. Sembra che una persona trans si materializzi dal nulla, già adulta. Sembra che non abbia storia e così si invisibilizzano tutti gli ostacoli che la società, le istituzioni, la famiglia ci mette.

I genitori, quando va bene, tendono ad ignorare i segni che i bambini possano essere trans finché non diventano suicidari in adolescenza ed è spesso troppo tardi. Quando va male, si adoperano attivamente per sopprimere qualsiasi espressione della persona trans, venendo spesso sostenut* da personalità e testi religiosi e da alcun* professionist* che propongono “terapie” riparative come “aiuto”. Non è aiuto: è abuso. È necessario renderle illegali anche in Italia e che porti a radiare dagli albi chi le mette in atto.

C’è una responsabilità anche della politica perché le persone trans che hanno bisogno di fare un’operazione non hanno accesso alla stessa a causa della lunghezza dei protocolli, dovuta da narrative politiche che raccontano il riconoscere le persone trans per quello che sono come “indottrinare i bambini”, dall’uso della “prudenza” e della “cautela” per “prevenire i rimpianti” (nonostante il tasso dei rimpianti sia uno dei più bassi rispetto a qualunque altra operazione chirurgica) e da chi demonizza gli investimenti pubblici per la salute delle persone trans e li definisce “superflui” o ingiustificabili.

È inutile definire “prudenza” e “cautela” ostacoli che ci portano a suicidarci. È abuso se può portare al suicidio. Chiamiamolo per quello che è. C’è stato un genocidio silenzioso di persone trans che si sono suicidate prima della transizione.

Occorre più consapevolezza di quello che ci viene inflitto in quanto persone trans dalla culla alla tomba. Le persone trans dovrebbero iniziare a parlare di tutto quello che hanno subito da piccol*. Per questo invito chiunque a partecipare alla campagna con le proprie foto e storie.

 

 

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