Dopo la Germania, anche l’Albania vieta le terapie riparative

Oggi, 17 maggio, ricorre la giornata sulla lotta all’omofobia, bisfobia, transfobia e afobia. Quale miglior giorno per parlare delle posizioni concrete assunte di recente: un esempio virtuoso ce lo mostra l’Albania che venerdì, in seguito a una decisione presa dall’ordine degli psicologi albanese, vincola ogni professionista al divieto a ricorrere a qualsiasi tipo di “terapie di conversione” o “terapie riparative”, ovvero pratiche che promettono una modifica della propria identità sessuale da transgenere a cisgenere e del proprio orientamento da omo/bisessuale a eterosessuale.

Sappiamo che queste pratiche, oltre ad esserne stata più volte negata l’efficacia dalla comunità scientifica, sono estremamente dannose e pericolose per la salute mentale delle persone che vengono coinvolte.

Nel 2018 il parlamento Europeo aveva intimato gli Stati membri a vietare la pratica di tali terapie, ma fino ad oggi solo quattro stati dell’UE hanno aderito introducendo le disposizioni che le vietino, tra cui il caso della Germania di pochi giorni fa.

L’Albania, a differenza dell’Italia, ha fatto già diversi passi in avanti nei confronti della comunità LGBTQ+ e non solo: nel 2010 è stata approvata a Tirana una legge contro le discriminazioni delle minoranze sessuali; nel 2013 è stata introdotta una normativa contro i crimini di odio in rete con votazione unanime del parlamento.

In Italia, d’altro canto, sembrano smuoversi le coscienze dell’attuale governo: nella giornata odierna il presidente del consiglio Conte si è espresso a favore di una legge contro l’omobitransfobia chiedendo che «la politica converga su una legge», mentre il presidente della repubblica Mattarella si è espresso per «operare per una società più libera».

A pochi giorni dal quarto anniversario dell’approvazione della legge Cirinnà sulle unioni civili, si spera quindi in una evoluzione dei diritti di tutte le persone LGBTQ+.

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